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StoriaLotte interne nel territorio del Comelico, l'urbanistica del paese ed altro ancora viene raccolto in questa sezione ricca di fatti esposti con chiarezza e documentati, dove è stato possibile, dai verbali delle delibere di Giunta del Comune e da antichi documenti.
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IL
LAUDO DI DANTA Il primo laudo di Danta, scritto certamente in latino, risale al milletrecento circa. Nel 1575 "per la vecchiezza distrutto e rovinato,....considerando debba essere riformato et rinnovato per comune utilità e buon governo e quiete della stessa Villa et Regola di Danta", viene sostituito dall'unico di cui si conserva copia. Inizia così: Nel nome di Cristo. Amen. L'anno di Nostra Salute Millecinquecento settanta cinque, 1575. Indizione terza. Il dì veramente 11 del mese di marzo nella Villa di Candide di Comelico, in casa di me infrascritto Nodaro, et ivi: Sig.r Bortoluzzo di Madalino Merico della Villa di Danta, e Regola così detta di Comelico, Sr. Odorico qm.Valentino d'Adamo di Menia Sr.Giovanni qm.Antonio di Colluto, suoi Laudatori e Mistro Pietro de Menia, Antonio qm.Pietro de Monte e Pietro Doriguzzi Deputati della istessa Regola di Danta.....hanno voluto e ordinato e costituito gli infrascritti Laudi Ordinazioni e costituzioni i quali e le quali intendano che dai Regolieri della stessa Villa e Regola di Danta con ogni miglior modo siano osservati e conservati. Il laudo stabilisce che: "nella festa di S.Giorgio (23 aprile) si tenga favola nel luoco solito di Danta "ed ogni regoliere debba parteciparvi senza avvisi; se il Merico in carica non vi partecipi "sia condannato a pagare al Comune e Regola in soldi 20 de piccoli; nello stesso modo, i Laudatori soldi 15, li saltari soldi 10, il Regoliere soldi 5 ". Nello stesso giorno dovranno essere eletti il Merico" di buona condizione e fama" ed i due Laudatori; rifiutando la carica pagheranno rispettivamente 5 soldi e 4 soldi ciascuno essendo "pure tenuti ad esercitar il medesimo officio". Verranno eletti anche "due Saltari i quali debbano per Ruolo fare ed esercitare gli atti d'essa Regola; rifiutando d'accettare tal impegno siano condannati in soldi 45 e nulla meno sieno tenuti d'accettare detta carica"; nello stesso giorno "sia eletto il Giurato di Chiesa del Venerando lume di S. Fabiano e Sebastiano col giuramento di fare cose utili a pro del Lume e l'obbligo a render e far li conti della sua amministrazione avanti il Merico e Laudadori". Il laudo prosegue poi nell'elencazione degli obblighi relativi al pascolo del bestiame sui prati della Regola, alle ammende per gli abusivi e per chi si avventurasse "fuori di strada pubblica". L'appartenenza di Danta alla diocesi di Aquileia è evidenziata con bovi o altri animali in uno dei punti di tale laudo: Nella festività dei santi Ermagora e Fortunato, patroni della città, "nessuno d'essa villa di Danta ardisca a lavorare o far lavorare" pena le citate condanne in denaro. Viene poi richiamato l'obbligo di "congregare la favola nel Luoco solito di Danta nella vigilia di S.Michele del mese di settembre .....e se alcuno in detta Regola si sentirà aggravato o lamentasse del Merico o Regola di Danta possa e voglia quel tale così aggravato appellarsi alla favola Piedo e non ad altro luogo". Ultimo obbligo: "Ogni Regoliero sia obbligato subito dopo la festa della Cattedra di S.Pietro (18 di gennaio) porre gli anelli ai Porzi animali suini e quello che contraffarà sia condannato in soldi 5 al Merico". Vengono definiti i confini: "La Regola di Danta confina a mattina in Regola Casada e a mezzodì in Regola di S.Stefano, a sera in monte Pontigo et a nulla ora in Regola o Comune di Candide". Il Laudo di Danta di Cadore (G.Fabbiani-Tipografia Castaldi-Feltre-1982) è stato dallo stesso rivisto e depurato di errori di trascrizione dal latino all'italiano o nel ricopiarlo in successive fasi. In fondo ad esso, in due documenti scritti in latino, con la stessa data dell'undici marzo 1575 lo stesso notaio Giovanni Gera chiama il nostro paese ANTA e DANTA: "Premissas deliberationes sive Laudum Regolae de Anta Comelici......; Villae et Regulae de Danta Comelici.....; Deputati ab ipsa Regula et Ville de Anta cum viderent laudum ipsius Regulae et Villae de Anta.....; sive Laudum Regula Anta Comelici; Regula de Anta terminet a mane....." Evidentemente, all'epoca, dal nome ANTA si stava passando a quello di DANTA. |
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SALTARI
= guardie boschive LAUDATORI = odierni assessori FABULA = Consiglio, ma anche Territorio FONTICO = magazzino dei cereali, delle biade MASSARO = tesoriere, cassiere PUBBLICO o UNIVERSITA' = Comune RODOLO = turno nell'assunzione di cariche |
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INNANZI
ALLA ECC.ma CORTE DI CASSAZIONE di FIRENZE RICORRONO |
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Originale della prima pagina del ricorso - cliccare sull'immagine | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
MELIN = Uso eterno per pascolo a Doriguzzi e Maddalin |
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L
SUMITERIO VECIO Puece pué rcordaslo incuei, dopo ch l'è sto slargiò na prima e na sconda ota dendo in su verso santa Barbora. La parte pì vecia è rstada senpro chela ch te t cetea apena ch t dea inze: la strada in medo e, ai late, tonbe zla tera; in fonde ala strada, la cesola cu la tonba d Pre Santo e, a fianco, l'osario. T vdea solo cros d len cun scrito niente autro ch al nome e cognome e t colpìa l vede cl puece lapide e soralduto l doe, cuas tacade, sula destra, dopo la mtà dal sumiterio: una portéa i nome di chi Doriguze ch avea cedù l taren e in canbio s'avè tignù cal posto pr bete senpro ilò i so morte; cl'autra era de n nos pre:don Domenico Bastianel Menia morto ncamò doign. Da cla stesa parte, ma su in auto, a destra, sot al muro d sostegno, era l tonbute di canai pizi e su calchduna t vdea ncamò na crosuta cul solo nome. Salvo chelch fresa, era dsmentiede, trascurede, cu l'erba intorne. Su chele di greign inveze n t vdea erbaze, zntuél u roba secia ch scondéa la terra: gné ntade cuan ch i dea a n funeral u dla domenia dopo na mesa.L cros d len avè però puecia durada e tante ote, pr cetà na tonba u savei chi ch'era ilò sote, bisognè rifeise ai parente ch t vdea intorne parchiè ch n'esistea nanche i numre pr identificala. St'aparenza d abandon dal sumiterio era però contrasigneda dal continuo rcordo di so morte cun tant mese ordinade e continue oferte a convente e gedie. La cura dal sumiterio gné dopo d chela pr l'anma! |
IL
CIMITERO VECCHIO Pochi possono ricordarselo oggi, dopo che esso è stato allargato una prima ed una seconda volta ampliandolo in su verso santa Barbara. La parte più vecchia è rimasta sempre quella che ti si presentava appena tu ci entrava: la strada in mezzo e, ai lati, le tombe nella terra; in fondo alla strada, la cappelletta con la tomba di Pre Santo e, a fianco, l'ossario. Vedevi solo delle croci di legno, con su scritto nient'altro che il nome ed il cognome e ti colpiva il vedere quelle poche lapidi e, soprattutto, le due quasi attaccate, sulla destra, dopo la metà del cimitero; su di una c'erano i nomi di quei Doriguzzi che ne avevano ceduto il terreno ed in cambio s'erano riservati il diritto si seppelire sempre lì i propri morti; quell'altra era di un nostro sacerdote, don Domenico Menia Bastianel, morto in ancor giovane età. Da quella stessa parte, ma nella parte alta, su in alto, sulla destra, sotto il muro di sostegno, c'erano le piccole tombe dei bambini e su qualcuna di queste vedevi ancora qualche piccola croce con scritto solo il nome. Eccetto qualcuna di recente sepoltura, eran dimenticate, trascurate, con l'erba attorno. Su quelle dei grandi invece non vedevi erbacce, o cose secche che nascondevano la terra; venivano pulite quando la gente partecipava ai funerali oppure di domenica dopo una messa. Le croci di legno avevano però una durata limitata e tante volte, per trovare una tomba o per sapere chi sia sepolto lì sotto, bisognava rifarsi ai parenti che vedevi intorno perchè non esistevano neppure i numeri per identificarla. Questa apparenza di abbandono del cimitero era però contrassegnata dal continuo ricordo dei propri morti con tante messe ordinate e continue offerte di suffragio a conventi e chiese. La cura del cimitero veniva dopo di quella per l'anima! |
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PROCEDURE ED ESITO DELL'INIZIATIVA Con
delibera n. 126 dell' 11 dicembre 1888, il Consiglio Comunale di Danta inizia
il travagliato lungo viaggio per giungere alla costruzione di un campanile
in pietra al fine di sistemare le campane, da tempo abbandonate a terra a
seguito della pericolosità di quello esistente. Decine di successive
altre deliberazioni, motivate dalla necessità di dar lavoro ai troppi
disoccupati del paese impegnandoli alla preparazione delle pietre necessarie
per la costruzione del campanile, vengono sempre respinte dal Commissario
Distrettuale o dal Prefetto. Solo quattro anni dopo, un artigiano di Danta,
ma residente in Santo Stefano, lancia l'idea di un campanile in legno atto
a sostenere le campane. C O N T R A T T O L'anno
1893, il giorno 31 di gennaio, nell'ufficio comunale di Danta.
Nei mesi di febbraio e marzo verranno martellate, d'urgenza, altre 43 piante
per cercare di ultimare i lavori del campanile. --------------- - ---------------
Come
è noto ad ognuno il sottoscritto in base a contratto ha costruito l'armatura
a legno pel sostegno delle campane che furono tolte dalla vecchia torre in
stato di totale deperimento, ma il lavoro non fu ultimato in causa di certe
vertenze, le quali poi furono verificate pel solo scopo di criticare l'opera
di un paesano ed in un momento di piena crisi popolare. Per la festa di san Rocco le campane hanno realmente suonato, ma la stabilità della nuova costruzione in legno non dava garanzie di stabilità. Non esiste documentazione che provi per quanto tempo sia stato utilizzato questo campanile. Lo si vede comunque in una foto scattata durante la costruzione del nuovo campanile in tufo. |
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LA
SIEGA ZIENZA AGA Tanc ane fa,cuan che cu n "taio" straordinario i misuréa l tàie da Valmadèn al Giò Gran, anch ié ero zal bosco"a tignì tésera" pr conto d Comun. Na dì, férme pr n spuntìn, s parléa d com ch i nos vece s bté in mènte anch zèrth robe stranbe cun chèla da spargné algo, sèia pr la so céda, sèia pr al bèn dla Régola u dal Comun. A n bél momènto, Meno d Caio n mostra l Giò, propio ilò gno ch al tarèn dla sponda scomnzéa a céde e franéa e n dis: "Chèl è l posto gno ch è stada fata la famosa siéga ch dovéa funzioné cu l'aga dal Giò Gran. I véce volé rsparmié sul costo dla corente ch fadéa dì la siéga d comun, sèia pr sié l lgname d rifabrco,sèia pr l brèie e i briòign vndùde pr paregié i bilance". La marvèia d chi doign com me,è stada granda parchiè ch n avòne mai sintù sta roba e s spitéa ch al n conte com ch'era du a fnì. Ma anch al tempo pr al spuntìn era fnù e a li n é rstò ch lasàne frèide contando la romnàda di Gnoche sui dantins:"Sèdé chèi dla siéga zienza aga"Ma com'erla stada vramènte? Purtropo l Giò Gran n'avéa mai do aga asèi pr fèi dì l pale dla siéga! E sto così fazile pr chèi di paese pì' davdìn avèi sto motivo pr burlane. Sta nuéva, però, m'avèa lasò cu na voia mata d cetà,na dì, n Beputo,n Iolando, un d chi pì vece dal paese pr fèime contà la storia d sta strana avntura. Para incuéi, para domàn, vien l momènto ch ie laso Danta e m dsmentio d pì' d na roba ch me intereséa cognose mèio cul sntìla contada da chi ch l'avéa visùda. A distanza d'ane, èi avù muédo da esaminé Delibere d Consiglio e d Giunta, gno ch t céte duto chèl ch è sto dito e deciso da fèi pr al nos paese, da cuan ch l'è sto fato Comun fin al dì d incuéi e,chié n èi cétò?Pnsèi! M s'è prsntada duta la storia dla sièga. Ei così liéto dl prime idéé sula posibilité d fèila; èi savù dl visite in do, trèi parte dal Veneto, a siéghe a vapòr, bél in funziòn; d tance preventive però masa ciare pr i bilanc nose: d parers tecnici pì' ch favorevoi pr fèila dì invez a aga.E po',unanime la decisiòn d progetala, d'acuisté i machinarie, bètla in opera e po' cla pura bruta fin! Dopo chèlch an, rstàda là duta abandonàda e in rovina, la siéga è fnìda vndùda pr fèro vecio e l legname lasò gratis a chi ch s la sintìa da dì a tol-lo fin ladu, zal Gio Gran. Ma, pr duta sta storia, ncamò invuéi, ié m domando: On da dà colpà ai nos vece u a chi strapagade d tecnici e d'ingegnérs ch fotse n s'avéa nanch sporciò l scarpe pr rué fin ladù, in stasòn d piova, d nève, d soròio, pr vède cuanta aga ch coréa z cal giò e s la podé avèi senpro forza asèi pr fèi muove i mecanisme dla siéga ? Rstòn pur "Chèi dla siega zienza aga", ma algo d bél e d bèn -ignére e incuéi- à pur senpro savù fèi, doign e vece d Danta, chilò e in giro pr al mondo ! |
LA
SEGHERIA SENZ' ACQUA |
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Anch sta lapide à na so storia ch nase dopo che ai 2 d'otobre dal 1935, l'Italia ave dichiarò guera a chela che inclota s ciamea Abisinia e incuei inveze Etiopia. Guera che Mussolini lavéa giustificheda come n nos dirito a avei "n posto al sole" pr portà ladù la civiltà e mandà i nos operai a fei strade, ponte, cede. Tance di nose è infati dude a lorà fin davdin Addis Abeba e zal Gima, ma l clima n i confria e nsun è sto pi' d n an e medo. La guera n'era scopieda ch da piece discuan che, ai 11 d'otobre, 51 State e tra chese Francia e Inghiltera tance che avea. Luere sì, colonie pr duto l mondo à deciso d castigane cul "sanzioni economiche" ch volé dì n conprà pi' gnente dal'Italia e n vendne nsuna merce. L Governo è sto costreto a studié l muedo d fei dì inante l paese cun solo chel ch al produsea e cu l'aurarchia e scoperte d nueve matriai s la son giavada riusendo prfin a sostituì l coton cul "Lanital". Dopo dla decision da parte dla Societò dle Nazioni d Gunevra d punìne in cal muedo, è sto inposto che su duce i munzipie d'Italia fos btuda na lapide "a ricordo delle inique sanzioni".Morto l Fascismo e fnida la sconda guera mondial, anche a Danta, come daprduto, è stada cancelada sta scrita e la lapide è rstada ilò, vueta, sul Comun. In ocasion dal centenario dla morte dal nos Rossin è sto deciso d tirala du dal Comun, dàla al scultor Guglielmo De Martin de Sa Stefi pr cal rafigure l poeta scondo l cuadro ch'era z sagstia e scrive ste parole detade dal prof. Fabiani:
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LA LAPIDE
DI ROSSIN SULLE SCUOLE Danta
Una ottantina d'anni fa, illudendosi, si iniziava a scrivere un po' di storia della Italia imperiale e si apriva una porta per tanti disoccupati. Non c'è più nessuno di quei nostri che erano andati laggiù come militari o operai, ma forse questa storia della lapide del Rossin può far in modo che qualcuno li consideri tra quelli che, come lui, hanno portato tra la gente il buon nome del paese. |
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Una dli ocasion pr cetase insieme tra duce i pizi dal paese era chela dl porzsion d san Lorenzo e sant’Ana. Ci si andava sì anch pr dvozion, ma soralduto pr la novité d cetase fora e d vede algo d nuevo. N savone pì’ ch tanto dal voto ch i nos vece avé fato a san Lorenzo, ma dì a Ciadada volé anche dì’ fei dute l curte fin a Cianpdel cul pre e femne anziane che stntéa cuan ch al truei s strndea u s’era da pasà l gioazel d Cianpanele. Ne piasia po’ pasà l Padola e vedlo cun tanta aga e rué infin su zn paesuto ch vdone senpro da sora in du e n parì tanto pizal da feilo fora cun doi pase. Ruede inveze z cla so gedia s’inacordone ch l’era pì’ granda d santa Barbora e ch l cede era pì’ d chele ch pnsone. I ne spité cul cianpane ch sonéa e tance ch n fadè ala inante d’entrà z gedia. Don Alberto didé, com senpro, la Mesa in longo e racomandé l paese intiero al Santo. Fnida anch chesta i greign dé pr i fate suei e pr nei gné l pì’ bel parchié che aron libre da tornà su parlando d san Roc ch ruea dopo puece dis u pasando pal bosco a cetà fonghe e divrtise n mondo. Unune senpro bel e sante tanto cun sta porzsion,cuanto cun chela d sant’Ana che gné fata anche che sta d’istiè u pr prié la pioa, u pr ch torne n tin d soroio pr l canpagne. Da hestai purtropo fora d’erba e patate n s podé spité autro, ma l masa ciaudo u la tanta pioa bté in pricol i racolte e fadé trmà a pnsà al’inverno zienza scorte. La dente avè fiduzia zi sante e soralduto, in sti case, in sant’Ana e così insistea cul pre pr ch al stablisa da dì in porzsion fin z cla gediuta che s ceta tra sant’Antone e Padola pr prié la Santa da feine la grazia dal bel u dal bruto tenpo. L dì stablù, s partia bonora, s dea su pl Palude e l Ciope e in Zstela finalmente t cetea n tin d pian fin dal capitel d sant’Antone. Da ilò t’avé fnù da fei fadia anche a prié a os auta, insieme al pre, parchié ch la strada gné duta in discesa. Pasò l lago, cetone la gedia verta e, chelch ota, anche al mon-go che ne acolié sonando la canpanela. Fnida la Mesa, n spitéa l viado inverso, ma cun manco fadia e tanta spranza che- come si didea- “ Sant’Ana verda l lago”, cu spitone la pioa u “ch al lo suie”, s ‘avone bisogno d soroio. Ch seia stada na dornada bela u bruta, i pras- ch era snpro pien d fiore, orchidee slvatiche, gilie bianche- era n sfogo pr chi ch godea a coili, spezie se canaie che, al contrario d chel ch i tocé cuan ch i dea a sant’Anton cu la scola, n’i avé po’ zerto l pnsier d contalo sul diario l dì dopo. |
LE PROCESSIONI FUORI PAESE Una delle occasioni per ritrovarsi assieme fra tutti i bambini del paese era rappresentata dalle processioni di san Lorenzo e di sant'Anna. Ci si andava sì anche per devozione, ma soprattutto per la novità di trovarsi fuori paese e vedere qualcosa di nuovo. Non si conosceva più che tanto del voto che i nostri vecchi avevano fatto a san Lorenzo, ma scendere a Casada significava anche percorrere tutti i sentieri fino a Campitello con il sacerdote e le donne anziane che faticavano quando la stradetta si restringeva o si doveva attraversare il ruscelletto di Campanelle. Ci piaceva poi oltrepassare il Padola e vederlo con tanta acqua e giungere infine su in un paesello che vedevamo sempre dall’alto e ci sembrava tanto piccolo da poterlo attraversare con due passi. Raggiunta invece quella sua chiesetta, ci si accorgeva che era più grande di santa Barbara e che anche le case erano più di quelle che pensavamo. Ci attendevano col suono delle campane e tanti ci facevano ala prima che si entrasse in chiesa. Don Alberto celebrava, come di solito, la Messa in lungo e raccomandava al Santo il paese intero. Finita anche questa, gli adulti se ne andavano per i fatti loro mentre per noi piccoli iniziava il più bello perché si era liberi di risalire a Danta parlando di san Rocco che sarebbe giunto dopo pochi giorni o passando per il bosco cercando funghi e divertendosi un mondo. Univamo sempre bello e santi tanto durante questa processione, quanto con quella di sant’Anna che aveva luogo anch’essa in estate o per la pioggia o perché ritorni un po’ di sole per la campagna. Da questa purtoppo non poteva avere altro che erba e patate, ma il troppo caldo o la tanta pioggia mettevano il raccolto in pericolo e facevano tremare pensando all’inverno senza scorte. La gente aveva fiducia nei santi e soprattutto in questi casi, in sant’Anna e così insisteva con il parroco perché decidesse di recarsi in processione fino a quella chiesetta che si trova tra sant’Antonio e Padola per pregare la Santa di farci la grazia del bello o del brutto tempo. Nel giorno stabilito, si partiva di buon mattino, si saliva lungo le Paludi, le Ciope e giunti a Cestella ti ritrovavi finalmente un po’ di piano fino alla cappelletta di sant’Antonio. Da lì avevi finito d affaticarti anche per pregare ad alta voce assieme al parroco, perché la strada si presentava tutta in discesa. Oltrepassato il lago, trovavamo la chiesa aperta e, talvolta, anche il sagrestano che ci accoglieva suonando la campanella. Terminata la Messa, ci aspettava il viaggio inverso per il ritorno, ma meno faticoso e con tanta speranza che – come si andava dicendo - Santa Anna "aprisse il lago” quando s’attendeva la pioggia o che “lo asciugasse” quando s’aveva bisogno di sole. Che si fosse in una giornata bella o brutta, i prati che erano sempre pieni di fiori, orchidee selvatiche, gigli bianchi, erano uno sfogo per chi godeva nel raccoglierli, soprattutto se bambini che, contrariamente a ciò che capitava quando andavan a sant’Antonio con la scuola, non avevan poi certo il pensiero di raccontarlo sui diario il giorno dopo. |
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LA GARA NAZIONAL D BOB SU STRADA Da tance ane i fadé la pì’ inportante gara d bob su strada partendo dal Paso Mauria pr rué a Lornzago. Cun Fabio Costa e un da Comelgo d Sora avon costituù na società sportiva pr i trei Comuns e arone riuscide a portase sta gara sul traciato Danta-Cianpdel, iutede dai Alpins dla Cadore pal srvizio d’ordi e l trasmision longo la pista. In cl’ota, sula nostra strada, n’era giro d machine e manco ncanò d coriere tanto ch è sto posibil saràla pr i dis dl prove e, soralduto, pr chel dla gara. Risulet iscrite na trentina d’ecuipagi tra bob a 2 e a bob a 4. Z pieza d Danta, ala partenza, giudici d gara, altoparlante pr ilustré l varie fse dla gara, militars in colegamento cui coleghe z duce i tornante; al’arivo autra giuria e la Croce Rosa in caso d bisogno. Duto è du ben fin a cuan che, dal tirnante d Ciananele, rua l’ordi d blocà l partenze. Da Cianpde s vué savei parchoié ch n rua du n bob; da Danta s domanda chié ch é sto. N militar vué savei s dev parìtì l’anbulanza, n’autro domanda se l bob è ncamò in gara, etre s la corsa è sospesa. M fazo pasà l telefono e digo ai militars d pasas la os d frmà in cualsiasi punto dla strada bob u eventual machine ch s presente e che parta lolo la Croce Rosa pr rué sul posto d l’incidente . L primo ch ebia notizie l comuniche al do giurie. Dopo n bon tin, n soldà m pasa l telefono: è un dla scuadra d Brsanon che m dis ch la femna d un di so concorente è stada ciapada sote proprio da n so bob e che i sta portandola a l’ospdal. N al sa u n al vué ddime se s trata d na roba grave Intanto se è sintide anche l do giurie e à deciso, su condivisa opinion dla Brsanon, d fei partì i cuatro ultme ecuipage e conclude l canpionato. Na gnan bela sperienza pr Danta, conclusa però cun tin d dispiazer pla disgrazia ch’avé interesò proprio una dl scuadre pì’ cuotade pla vitoria. |
LA GARA NAZIONALE DI BOB SU STRADADa tanti anni la più importante gara nazionale di bob su strada veniva fatta partendo dal Passo Mauria per arrivare a Lorenzago. Con Fabio Costan, ed uno di Comelico Superiore avevamo costituito una società sportiva per i tre Comuni ed eravamo riusciti a portare questa gara sul tracciato Danta- Campitello, aiutati dagli Alpini della Cadore per il servizio d’ordine e per le trasmissioni lungo la pista. A quell’epoca, sulla nostra strada, non c’era passaggio di macchine e meno ancora di corriere tanto che è stato possibile chiuderla durante i giorni delle prove e soprattutto, durante quelli della gara. Risultarono iscritte una trentina di equipaggi tra Bob a 2 e Bob a 4. Nella piazza di Danta, alla partenza, giudici di gara, altoparlanti per illustrare le varie fasi della gara, militari collegati con loro colleghi su tutti i tornanti; all’arrivo altra Giuria e la Croce Rossa per un eventuale caso di bisogno. Tutto è filato liscio fino a quando, dal tornante di Campanelle, giunge l’ordine di bloccare le partenze. Da Campitello vogliono sapere perché non scendono più bob, da Danta si domanda che cosa sia successo. Un militare vuol sapere se deve far partire l’autoambulanza, un altro vuol sapere se il bob è ancora in gara, altri se la corsa è da considerarsi sospesa. Mi faccio passare il telefono e dico ai militari di passarsi la voce di bloccare in qualsiasi punto della strada o bob o eventuali macchine che si presentano e che invece parta subito la Croce Rossa per raggiungere il posto dell’incidente. Il primo che abbia notizie sicure le comunichi alle due giurie. Dopo un bel po’ di tempo, un mllitare mi passa il telefono: è uno dei componenti dell’equipaggio di Bressanone che mi informa che la moglie di un loro concorrente è stata investita proprio da un loro bob e che la stanno trasportando all’ospedale. Non sa o non vuol dirmi se si tratti di cosa grave. Intanto si son sentite anche le due giurie ed hanno deciso, su condivisa opinione della squadra di Bressanone, di far partire i quattro ultimi equipaggo e concludere il campionato. Una gran bella esperienza per Danta, conclusasi però con un po’ di dispiacere per la disgrazia che aveva interessato proprio una delle squadre più quotate per la vittoria. |
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IL “ RIPETITORE RAI” DI SANTA BARBARA Era da tempo che si riceveva la televisione grazie alla buona idea di un certo Velio che, in Pieve, aveva un negozio di radio e televisori. Era tanto addentro in queste cose che era riuscito a realizzare un ripetitore privato che ha consentito finalmente di veder benino programmi Rai. Certo che, se da noi si ricevevan segnali discreti, in alcuni paesi li vedevan appena, in altri neppure vi giungevano. Finalmente la Rai si è svegliata e, dopo prove di qua e di là, hanno trovato, presso la Prima Piazza, un posto dove il loro segnale giungeva forte ed atto ad essere amplificato ed indirizzato verso tutto il Comelico. Per di più, vi di poteva giungere usando la strada delle Piazze, a due passi dalle ultime case di Sopra la Chiesa ed adatta anche al passaggio di camion per trasportarvi il materiale delle antenne e di facile accesso per il controllo o la riparazione in caso di guasti. Unica difficoltà: ottenere il terreno per farvi la casetta ove riporre tutto il materiale radioelettrico e per posizionare il traliccio per le antenne. Il terreno era infatti della Regola e, come ben si sa, a base di Statuto, “indivisibile ed inalienabile”. Considerata però la pubblica utilità dell’iniziativa, la Rai se lo è comperato ed, in poco tempo, olltre le cime degli abeti rossi, si cominciò a veder crescere il traliccio e posizionarvi le antenne su Santo Stefano e Comelico Superiore. Già durante le prove, la gente si divertiva ad ammirarsi lo schermo dei televisori, bello, senza quella specie di neve che prima riduceva una chiara visione di tutte le immagini. E’ giunto finalmente anche il giorno della inaugurazione, con la presenza di tante autorità dell’intero Comelico e perfino quella del Vescovo che ha benedetto l’impianto. Tutto è andato bene e tutti erano contenti, specialmente i paesani che erano convinti di vedersi reclamizzati dal ripetitore che si chiamasse “Danta". Con un po’ di amaro in bocca hanno invece saputo che l’avrebbero definito “Comelico” e questo non certo per scelta della Rai. Un po’ di beneficio in più degli altri paesi l’abbiamo avuto quando ad uno dei nostri è stato dato l’incarico di mantenere aperta la strada d’inverno ed a Ettore quello di sorvegliare gli impianti ed alternare gli amplificatori di segnale in caso che si guastasse uno. Qualche danno, prima non previsto, continua ad avere la Regola. Durante i temporali, con nuvole basse, i fulmini attirati dalla massa del traliccio, non arriva a colpirlo, ma si scarica prima sulla punta di una pianta e te la ritrovi dopo sparpagliata attorno, ridotta a pezzetti adatti solo per far fuoco. Un prezzo pagato alla modernità, al progresso. |
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L “RIPETITOR RAI” D SANTA BARBORA Era da tenpo che s vdea la television grazie ala bona idea de n zerto Velio che, a Pieve, avea n negozio d radio e televisors. Tanto l s’intendea d ste robe da riusì a feise n ripetito rprivato che à consentù finalmente d vede abastanza ben i programe dla Rai. Zerto che, se su da nei t ciapéa n sgnal discreto, ze n puece d paese i lo vdea apena; in etre nanche n’al ruea. Finalmente la Rai s’è dsdada e, dopo prove d ca e d là, i à cetò, davdin la Prima Pieza, n posto gno che al so sgnal ruea forte e adato pr ese anplificò e indirizò verso l Comelgo intiero. Oltre a duto ilò s podé rué dorando la strada dl Pieze, a doi pase dali ultme cede d Sora la Gedia e adata anche pr al pasagio di camion pr portà su l matrial dli antene e d fazile aceso pr al controlo u la riparazion in caso d guaste. Unica dificoltà: otignì l taren pr fei la ceduta gno bete duto l matrial radi.eletrico e pr posizioné l tralicio pr li antene. L taren infate era dla Regola e, cone ben s sa, a base d Statuto, “indivisibile ed inalienabile”. Considerada però la publica utilità dl’imiziativa, la Rai s l’é conprò e, in pueco tenpo, otra l zime di pozies, s’à scomnzò a vede a crese l tralicio e posizionase li antene verso Sa Stefi e Comelgo d Sora. Bel durante l prove la dente s divrtia a vardase l schermo di televisore, bel, zienza cla spezie d neve che inante ridusea la ciara visiom d dute le imagini. E’ ruò finalmente anche al dì dl’inaugurazion, cu la presenza d tante autorità dl’inriero Comelgo e prfin chela dal Vesco ch à bndù l’inpianto. Duto è du ben e duce era contente, spezie i paesane convinte d vedse reclamizade dal ripetitor che s ciames: “Danta” Cu n tin d’amaro z bocia i à savù ch inveze i l’avrà definù: “Comelico” e chesto no zerto pr selta dla Rai. N tin d benefizio in pì d chietre paese on avù cuan che a un di nose è sto do l’incarico d tignì neta la strada d‘inverno e a Etore chel d sorveliè li inpiante e altrnà i anplificators d sgnal in caso che un sotès. Invezr chelch dano, non prvisto inante, continua a avei la Regola. Durante i tenporai, cun nughi base,i fulmine atirede dala masa dal tralicio, n rua a colpidlo, ma s dsciareia inante la zima d na pianta e t la cete dopo, sparpagneda intorne, ridota in sbrindoi adate solo pr fei fuego. N prezio pagò ala modernità, al progreso. |
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“Cola nostra dema pagheremo la vostra stema” L costo d gestise in Comun autonomo è sto così auto che, a n zerto punto, l solito taio dal bosco n bastea pì a fei fronte al spese. Li os core e i furbe, pronte a lucré sul dificoltà dla dente, spieta d dì in dì che se rue a dovei vendse pras e bosche pr salvase. Na particolar sodisfazion n puece s la ceta adiritura a gnì fin su a Danta pr tastà l polso ala dente e soralduto ai aministrators de Rgola e Comun. Tra i tance che, scondendo l vero motivo, rua fin su a Danta, s fa vivo anche n nobile venezian che, ben informò su sto problema d licuide e convinto d feila a sti porete d montanare, se ofre d fei n prestito a bone condizion e a longia scadenza. S riunis Giunta e Regola e, duc contente dl’oferta, i la aceta fidando su la parola, pr na lontana restuituzion.Ruede i sode, s provede a pagà lolo duc i debte e se scomenza a studié l muedo d replì in tin a l’ota chelda tornà al benefator. Ma chelch meis dop eco la sorpresa. Rua l nobile; e n’é pì li, cal bon on! Zienza med parole l pretende i sode u tanto bosco da cuerde l debto L se spieta pr de pì che i lo ciame al pì presto pr savei la decizion! I Aministrators dla Regola se ceta cun chei d Comun e, in pien acordo, i decide d sintì i cape fameia, su zla Terza Pieza,ma d sconto, parchié ch la roba reste segreta l pì in longo posibil. Dante la proposta u d cede l bosco u d taié anche l’ultma pianta pr incasà l’indispnsabile, i rgolers decide pr sta soluzion e, pr podei fei l necesarue pratiche burocratiche zienza intope i s’inpegna a fei che d sta decision nsun autro viena in savei. Otignuda l’autorisazion a n taio straordunario d piante, parte l’invito al nobile pr n incontro coi regoliere. Li s presenta e se siente a dì che, via pl’insuda, l sarà pagò. Presuntuoso e arogante, minazando tribunai se i sode n rua, fa pr lasà la sala cuan ch na os, in medo, i ziga: “Co la nostra dema, pagaremo la vostra stema”. Da veneto, li intuis che cla frase signéa la fin di so sogne. I ciarìs ncamò da pì l caporegola: ”Sior Conte! Gavemo fato n contrato sula parola. Lei la ga mancà e la ga cusì dimostrà che la so nobiltà val deso cuanto la demola dele piante che taieremo per tornarghe i soldi”. Ncamò incuei na parte dal nos bosco porta n nome che s rifà a cal tenpo: è chela che, prrsituì i sode al venezian, i avéa scugn§ taié a raso: la “Viza Nueva”. |
"I soli aghi dei rami dei nostri abeti varranno più della mancanza di parola che disonora il vostro stemma” Il costo per gestirsi in Comune autonomo è stato così alto che, ad un certo punto, il consueto taglio del bosco, non bastava più a coprire le spese. Ne corre voce ed i furbi, pronti a lucrare sulle altrui difficoltà, attendono di giorno in giorno, che si giunga a dover vendere prati e boschi per salvarsi. Una particolare soddisfazione alcuni se la trovano addirittura nel salir a Danta per tastare il polso alla gente e soprattutto ad Amministratori di Regola e del Comune. Fra i tanti che, nascondendo il vero motivo vi giungono, c’è anche un nobile veneziano che, ben informato sulla mancanza di liquidi e convinto di farla a quei poveri di montanari, si offre di conceder un prestito a buone condizioni ed a lunga scadenza. Si riuniscono Giunta e regolieri e tutti contenti dell’offerta, la accettano fidando sulla parola per una lontana restituzione. Giunto il denaro, si saldano subito tutti i debiti e si incomincia a studiare il modo di reperire un po’ alla volta quello da restituire al benefattore. Ma qualche mese dopo ecco la sorpresa. Arriva il nobile, ma non è più lui, quel buon uomo! Senza mezze parole pretende la restituzione del denaro o tanto bosco da coprire il valore del prestito. Sì aspetta inoltre che lo chiamino presto per conoscere la decisione! Si riuniscono gli amministratori di Regola e quelli del Comune ed in pieno accordo decidono di convocare i capifamiglia, su nella Terza Piazza, ma di nascosto perché tutto rimanga il più a lungo segreto. Tra la proposta o di cedere il bosco o di tagliarlo a zero per realizzare quanto indispensabile, i regolieri decidono per questa e per mandar avanti le necessarie pratiche senza intoppi si impegnano acchè nessun altro venga a conoscenza della decisione. Ottenuta l’autorizzazione ad un taglio straordinato di piante, parte l’invito al nbobile per un incontro con i regolieri. Lui si presenta e si sente dire che sarà saldato nel corso della primavera. Presuntuoso ed arrogante, minacciando azioni legali qualora non venisse pagato, accenna a lasciare la sala quando, da in mezzo ad essa, una voce gli urla: “Con gli aghi dei rami dei nostri abeti pagheremo il vostro stemma”. Da veneto egli intuisce che la frase significava la fine del suo sogno. Gliela chiarisce ancor più il caporegola: ”Signor Conte! Abbiamo stipulato un contratto sulla parola. Lei non l’ha rispettata ed ha così dimostrato che la sua nobiltà ora vale quanto la “demola” delle piante che taglieremo per reatituirle il suo denaro”. Ancor oggi una parte del nostro bosco porta un nome che si rifà a quel tempo: è quella che, per restituire il denaro al veneziano, avevano dovuto tagliare a zero: la “Vizza Nuova”. |
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Don Alberto: rapporti con i parrocchiani in cerca di lavoro o emigrati in Africa Orientale Italiana. E’ ben noto a tutti come, fino a dopo la seconda guerra mondiale, fosse difficile per i nostri operai trovare lavori duraturi o anche solo stagionali. Erano soprattutto minatori e manovali che venivano assunti da imprese operanti nel Nord Italia per costruire condotte forzate atte a portare l’acqua alle centrali elettriche. Inizio e fine dei lavori eseguiti in alta montagna erano condizionati dall’andamento delle stagioni e dalle precipitazioni nevose per cui i cantieri, a volte, s’aprivano a maggio per chiudersi ad ottobre. Di disoccupati ce n’erano un po’ dappertutto e, per dare maggior importanza alle richieste di assunzione da parte dei nostri, il Parroco si rivolgeva ogni anno, caldeggiandole, alle Imprese presso cui avevano lavorato con assiduità ed ottimi risultati. Spesso era proprio lui stesso a dar comunicazione dell’avvenuto accoglimento delle domande. Questo rapporto con i parrocchiani, unito alle loro convinzioni religiose, si concretizzava in brevi contatti epistolari ed in un costante ricordo delle necessità della nostra chiesa per cui venivano allegate offerte. Ne è testimonianza la lettera che don Alberto scriveva loro il 28 maggio 1937. Preg.mi PARROCCHIANI, Mi immagino quanti lamenti e giuste proteste tra Voi per il mancato ringraziamento del sottoscritto in occasione della lettera ed assegno inviato! Avete non una , ma mille ragioni di brontolare. |
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LA TRATORIA Dd IACO DLA PINOTA D la so ostari-albergo, su z pieza granda, ei bel parlò parchié c l’era la pì cognosuda e anche publicisesda sul guide. A n bel monento, Iaco c se avéa fato na bela ceda nueva lolo inante la prima curva dal paes, ha deciso d spostase ladù com tratoria avendo anche n bel spazio ilò dante pr bete taulins e carieghe. Dopo na gestion in propio, la tratoria è stada fiteda e utiliseda lolo com albergo pr conpagnie d triestins che se canbiea ogni stomana . Picé c propio in cl an i lorea a slargé la strada d Cianpdel e la dente dové ese portada casù culi auto da nolegio fadendo l giro pr Padola e s.Antone. In stason morta l local rsté verta com, bar. Dino, unico fi d Iaco, avéa sposò na spagnola cognosuda da legionario durante la rivoluzion e lorea in banca fora d paese. Li n’avea li l’antarés d so pare pr cl so ativité e così anche la licenza é stada ,ceduda a Meto e Piero e portada in Pieza Lutin cul nome d “ Bar Edelweiss “ Pì tarde, i erede d Iaco,trasfride duce a Blun, à vndù anc sla nueva ceda a vilegiante. Ades ela è senpro ben tignuda, infiorada, ridente, cu na bela meridiana pitureda propio sora l’ingreso. Anche la ceda vecia, che era stada l primo albergo d Danta, é stada vnduda a Rina di Boze e ades, al pian baso, é gnuda l supermarket dal paese; zi pians d sora s è fate apertamente, fitede soralduto ai siore d’istade e pl feste d’inverno. |
LA TRATTORIA DI GIACOMO “DELLA PINOTA” (così era chiamata sua moglie) |
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Tance ane dopo c l’era morto, so node Arturo c me parlea d li, l’à definù: “La television d’inclota” e m’à parù lolo na roba aproprieda. Arone bel ruede ai tenpe che la dente dea zi bar pr vede l prime trasmision televisive e se scordone cuas d chei cuan che al nos bar era… la ceduta d Galapo. Ladù, zla cla so stanzuta u zla cianua, otra ai Struis che era duce so node, podé cetase ,duce i canaie e i dovnote dl’intiero “Cianton” pr scoltà l mile storie c li contea pr feine ride u spavntà. Era, pì u manco, senpro chele, ma li savé dontà, tiré via, slongé i particolars a sconda d chi c l’avé intorne: roba da fei trmà d paura cuan c al se cetea cui doign; da dorà un sugaman pl lagrme se l’avea dantse l todelute. Nei, né greign, né pizi, dl clase tra l 25 e l 29, podone sta seia cui canaiute, seia anche cui pì vece e li ne tratea senpro cun calma e da bonazon. Ogni storia vdea d medo strie, maghe, malspirte e fnia cun son dla Roca che i fadé scanpà u cu n tin d’oligo bndeto burdò sula plota che, cul so odor n’ota pasò fora pr fonestra, gné pì potente dal vento ghitlo zal portà domal cl Malore. Ma cuan c al contea dli ore c al pasea a dì su e du pal paese a controlà che n parta n fuego e, cul ciaudo, cul freido, cu la geza urlé d continuo: “Sono le ore…e tutto va bene”, t lo vdèa canbiase l béco. I tornea in mente e i pdea la responsabilité c al s’avea tolosto: salvà l paese dal fuego cu l so solo sacrfizio. Era bel anc cuan che l so storie se rifria a robe capitede zi paese d’intorne, in Italia u adiritura in giro pal mondo. Com c al fadès a cognose nome d paese, d zità, d State, propio li c puece ote era du fora dal Cadore, duce i domandèa e li dadé la solita risposta: “Sei solo tanto scoltà”. Li savéa anche usè diverse atreze, tignude ben in ordi zla cianuuta ilò d fota Così, fnide l so contade, li n mnea duce z sta stanzuta scura e nègra a pasa l resto dli ore cun pnì, raspe, ciode e vide. Intanto c al fadea l so robe, nei tntone d’imitalo u s fadone contà da nuevo calc bel particolar dla so ultma storia u spitone c al scomenze n’autra. E li ne contentéa, pì flize li d nei; pì rieduto d nei. Come so ultme imagine m lo imagino dante al Tagliavini intanto c al ghi conta la storia d “La puza” publicheda dopo sul libro “Il dialetto del Comelico” e m lo vedo pizluto com c l’era, ma gran al punto d’avei savù intrsà n straordinario studioso dl lènghe come al Tagliavini; lo rivèdo pizluto come c l’era, ma così gran da feise l nuete da solo e da solo garantì n paese intiero contro n teribil fuego. Cuance piz, mai grèign omi à vivù tra ste montagne! |
GALAPO (Menia Tamon) Tanti anni dopo delle sua morte, suo nipote Arturo che mi stava parlando di lui. lo aveva definito: “ La televisione di quella volta” e mi sembrò subito una definizione appropriata. Eravamo giunti ormai ai tempi in cui la gente si recava nei bar per vedere le prime trasmissioni televisive e ci si scordava quasi di quelli in cui il nostro bar era … la casettina di Galapo. dove, oltre agli Stuis che erano tutti suoi nipoti, potevano incontrarsi i bambini ed i ragazzotti dell’intero “Cianton” per ascoltare le mille storie che raccontava per farci ridere o spaventare. Erano più o meno sempre quelle, ma lui sapeva aggiungere, allungar i particolari secondo chi aveva attorno: cose da far tremar di paura quando si trovava con i giovani; da usare invece un asciugamano per le lacrime se aveva davanti a sé delle signorinette. Noi, né grandi, né piccoli, delle classi tra il ’25 ed il ’29, potevamo stare sia con i bambini, sia pure con i più vecchi e lui ci trattava sempre con calma e da bonaccione. Ogni suo racconto vedeva sempre di mezzo streghe, maghi, mal spiriti e terminava sempre con il suono della “Roca” che li faceva fuggire o con un po’ d’ulivo benedetto bruciato sulla cucina economica il cui odore, una volta uscito attraverso le finestre, diventava più potente del vento impetuoso nel portar via quelle Malore.. Ma quando raccontava delle ore trascorse s passare su e giù pe le ie del paese per controllare che s’accenda un fuoco e, col caldo, col freddo, con il ghiaccio urlava di continuo: “Sono le ore…e tutto va bene” lo vedevi cambiarsi in volto . Gli tornava in mente e gli pesava la responsabilità che si era assunto: salvare il paese dal foco col solo suo sacrificio. Era bello anche quando i suoi racconti ai riferivano ad eventi capitati nei paesi attorno, in Italia o addirittura in giro per il mondo. Come egli facesse a conoscere nomi di paesi, di città, di Stati, proprio lui che poche volte se ne era uscito oltre il Cadore, tutti glielo chiedevano e lui ripeteva la solita risposta: “ So solo tanto ascoltare”. Egli sapeva anche utilizzare diversi attrezzi, tenuti ben in ordine nella cantinetta attigua alla cucina. Così, terminati i suoi racconti, lui ci accompagnava tutti in questa stanzetta scura e nera per trascorrere il resto delle ore con pennelli, raspe, chiodi e diti. Nel mentre lui provvedeva a completare i suoi lavori, noi tentavamo di imitarlo o ci facevano raccontare nuovamente qualche bel particolare del suo ultimo racconto o si aspettava che ne iniziasse un’altra. E lui ci accontentava, più felice lui di noi, più bambino di noi. Come ultima sua immagine me lo immagino davanti al Tagliavini mentre gli sta raccontando la storia de “ La Puzza “ pubblicata successivamente sul libro “ Il Dialetto del Comelico .“ Me lo vedo, piccolo di statura com’era, ma grande al punto d’aver saputo interessare uno straordinario studioso di lingue come il Tagliavini, lo rivedo piccolino come era, ma così grande da trascorrere le notti da solo e da solo garantire un intero paese contro un fuoco terrorizzante. Quanti piccoli, ma grandi uomini hanno vissuto tra queste montagne! |
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L CUERTO DI MATEA E L CAPITéL DAL CRISTO fnida la sconda guera e duce, cuas pr dsmntié chi tenpe d paure e dsgrazie, zrchea d betse n tin pì a posto l cede e i tabias. Pal pasò, algo i paroign avé scugnù inpiantà a mtà causa la naia, autro era sto btu da parte pr spité tenpe c dadès posibilté d laore e d’ingrumase calc franco. Tra l tante robute c avé canbiò man man l’aspeto dal paese, una s fadé notà sora d duto: la sola ceda nueva fatta fei dai fradis Matea, a mtà d Vilapizla, lolo sot dla strada, dante l capitel dal Cristo. Siole, fonestre e cuerto era fnide; mancé ncamò solo i luminai. Arone d’agosto e, com senpro, dornade bele e ciaude s’altrnéa a etre freide e prfin cu na sbridga d neve pl zime. Veia dl’Asunta, inuglò pr duto l dì:. Bruto segno pr l do dornade d festa c se spitéa e, otraduto, chesto n lasa ben lvà la pasta pr i dolze e i crosti c l femne vué parcié pr ofrili ala dente che, cula porzion d san Roc, ruarà su a saludale. Pì d’un, inrabiò u malcontento, s bicia a paion cul muso. Pueco dopo la medanuete s leva n bruto vento c fa sbate scure e porte malferme, soleva e bicia du baso staip mal intasonade, roversa cariole, atreze e lamiere. Al doe, gran parte dal paese è in pes e bruda oligo bndeto; la lus s’inpiza e dstuda a ogni tarlucheda supreda dal fracaso dal vento. Spicea e l pedo era fnu. Sona cianpana, in gran. L conzerto soleva i cuere, ma pl strade scomenza a bulié masa dente. N tin a l’ota ti vede cor verso pieza e po, ncamò pì presto. partì pr Vilapizla E core anche li os: “ La ceda di Matea è zienza cuerto! L vento t l’à portò otra la strada. E’ ilò, duto poiò sul capitel e sul pra”. Na roba così s podé crede solo cul dì a vede e la porzion d curiose, d Danta e foreste, à durò dis e dis. Po’, come pr dute l gran robe, duto è pasò sot silenzio. Incuei la ceda è là, bela, cu n bandieron dla Ferari in ocasion di Gran Premi. Anc l capitel è ncamò ilò dfronte, ma n’è pì chel. Dmolù pr podei slargé la strada, cal vecio e sto canbiò zn nuevo capitel criò scavando contro l monte na spezie d grota e btendo inze l vecio altaruto e cl’unica autra parte original: l Cristo. Proprio dante a sto capitel, la porzsion dla Purité s frmea n tin pì in longo cuas pr domandà na bndizion particolar pr cla parte n tin stacada dal paese e propioilò,pr al pasò, s frmea la porzsion cuan che, l terzo d’ dl Rogazion, se dea “ Jntorn tavela” pr la bndizion di cianpe e di pras. Da ilò, pr al truei c ciapea su tra pra e bosco, s déa su fin zla gediuta d santa Barbora gno c he al pre dadé fin ala celebrazion religiosa dando la bndizion a duce i presente. Incuei, anche cal truei è sparù: a fianco de “ L Cristo “ è stada fata su, da tenpo, na bela ceduta. |
IL TETTO DEI MATTEA E LA CAPPELLETTA DEL CRISTO Era terminata la seconda guerra mondiale e tutti, quasi per dimenticare quei tempi di paure e di disgrazie, cercavano di mettere un po’ più in ordine le case ed i fienili,. Per il passato, i padroni erano stati costretti a lasciarle incomplete alcune cose a causa del servizio militare. altro era stato messo da parte per attendere tempi che garantissero possibilità di lavoro e d’ammucchiare qualche lira. Tra le tante cosette che avevano cambiato man mano l’aspetto del paese, una si faceva notare sopra di tutto: la sola casa nuova fatta costruire dai fratelli Mattea, a metà di Villapiccola, subito sotto la strada, davanti alla cappelletta del Cristo. Pavimenti finestre e tetto erano ultimati; mancavano ancora solo gli abbaini. Eravamo d’agosto e, giornate belle e calde s’alternavano, come sempre, ad altre fredde e perfino con una spruzzata di neve sulle vette. Alla vigilia dell’Assunta, nubi per tutto il giorno: brutto segno per le due giornate di festa che s’attendevano ed oltretutto ciò impedisce il ben lievitare della pasta per i dolci ed i crostoli che le donne vogliono preparare per offrirli alla gente che, con la processione di san Rocco giungerà su per salutarle. Più d’uno, arrabbiato o malcontento, si butta a letto col muso. Poco dopo la mezzanotte, s’alza un brutto vento che fa sbattere imposte e porte malferme, solleva e butta a terra pezzi d’albero mal accatastati, rovescia carriole, attrezzi e lamiere. Alle du, gran parte del paese è in piedi e brucia olivo benedetto; la luce s’accende e si spegne dopo ogni scoppio di fulmini superato dal fracasso del vento. Albeggiava ed il peggio era passato. Suonano le tre campane grandi. Il loro unisono solleva i cuori, ma per le strade incomincia a muoversi troppa gente. Un po’ alla volta la vedi correre verso la piazza e poi, ancota più vrloci, correre verso Villapiccola. E corron anche le voci: “La casa dei Mattea è senza tetto. Il vento l’ha portato oltre la strada. Se ne sta tutto posato sopra la cappelletta ed il prato” Una cosa simile la si poteva credere solo vedendola e la processione dei curiosi, dantini o forestieri, durò per giorni e giorni. Poi, come per tutte le grandi cose, tutto passò sotto silenzio. Oggi, la casa se ne sta lì, bella, con un bandierone della Ferrari in occasione dei gran Premi. Anche la cappelletta è ancora |
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ALBERGHE, PNSIONS, TRATORIE ZLA DANTA DAL DOPOGUERA L primo a nasce,cuj nome de “Albergo alle Alpi” sistmò zla ceda de Gise Caio, è sto chel cognosù dala dente dal posto, come “Chel d Rosura” in quanto solo ela, femna d so fi Gino, s l’à gestù e s l’à portò inante da btrava coga e da femna d laeghe vdute. Tra i prim “siore” – così era ciamade i turiste- clients triestine, vneziane e calc fameia d milanes e dopo d barese. Danta n’ofria autro c bele pasegiate, aria bona e solitudin: propio chel c mancea a chi c vivea in zità e così, an pr an, i se ritrovea e i portea davoi autra dente nueva. N tin a l’ota, a Rosuta, è gnude a mancé l stanze pr dà da dormì e ela inpignea anche chele dl cede pì da vdin. A n zerto punto i à deciso d slongé e oza n tin la ceda e fei anche n tin d piazal su l’entrata e fei na bela teraza dante la sala da pranzo c vardea verso Sa Stefi , Costlisueign, Costa l’Austria. Zal fratenpo era stada verta anc la tratotia dla Pinota, du zls so ceda nueva davdin la prima curva e na agenzia d Trieste à scomnzò a mandà clienti pt dute doe li ativité albrghiere sben che, cula strada d Cianpdel in lavorazion, se scugnès fei l giro pr Padola. Do cede che era partide cu l’intnzion d fnile pr uso d fameia, gnea intbeze modifichede pr ese usede come alberghe:. Naséa così “ Il Tre Pini” di Beppi ed “Il Cardo” di Cesare. Anche n’autra abitazion privata, chela d Meno Caio, gnea in parte, dorada a uso di siore cul nome d “Pension Dolomiti”, gestida dala so femna Irma, de origine dantine, ma visuda jn Francia fin al so sposalizio, L svilupo turistico dal paese à avù n’autro.bon momènto cul nuevo skilift d Cianpo-Caradiés c ciamé dente dal Comelgo, dal Cadore e prfin dal’estero. Otra ai Tre Pini, anc Le Alpi e L Cardo gnea infate inpide d belghe e francese che s fadea turne d cuinds dì pr dì cui sci su da nei u feise gire pr vede Cortina u la Pustaria. Anc al Lago d Zestela era nasù n chalet e t podé mangé algo u divrtite a pscà trote e portatle a ceda pr feile sula plota…Pr ben puece ane à però durò sto bel acordo. Ades è rstò, ben ingrandù dotò anc dal supèrfluo, l solo Tre Pini gno c laora tanto la Pizeria. D chietre trei, L Cardo è sto diviso in apartamente tra sues e fradia; chetre doi è stade vndude e divise in tance mini apartamènte. E’ da sprà che ilò da Bepi i tiena duro parchié che rué a Danta e n cetà gno mangé n piato d mnestra n sarà propio bel. Vdaron se, tra i nos doigni u tra i foreste che conpra su cede e tarens, s farà inante caalcdun c crede zla posibilté d betse via n puece d bi euro dando vita a n’ativité adata a garantì decorose alberghe e generose paste anche ai nueve siore c ruarà a Danta. |
ALBERGHI, PENSIONI, TRATTORIE NELLA DANTA DEL DOPOGUERRA Il primo a sorgere, con il nome di “Albergo alle Alpi, ubicato nella casa di Luigi Bozzo detto Caio, è stato quello localmente conosciuto come “Quello di Rosutta” in quanto solo lei, moglie del figlio Gino, se lo gestì e se lo portò avanti da brava cuoca e da donna di larghe vedute.. Tra i primi “signori – così erano chiamati i villeggianti- clienti triestini, veneziani e qualche famiglia di milanesi e successivamente di baresi. Danta non offriva altro che belle passeggiate, aria buona e solitudine: proprio ciò che mancava a chi viveva nelle città e così, anno per anno, loro si ritrovavano e si portavano appresso altri turisiti nuovi. Un po’ alla volta, a Rosutta vennero a mancare le camere per dare da dormire e lei, per farvi fronte, incominciò ad impegnare anche quelle della case più vicine. Ad un certo punto decisero di prolungare e sopraelevare di un po’ la casa e create anche un po’ di piazzale sull’entrata e costruire una bella terrazza prospiciente la sala da pranzo e con veduta su Santo Stefano, Costalissoio, Costa e l’Austria. Nel frattempo era stata aperta anche la Tratoria della Pinota, giù nella loro casa nuova nei pressi della prima curva del paese ed una agenzia turistica di Trieste incominciò ad inviare clienti per entrambe le attività alberghiere quantunque, colla strada di Campitello in lavorazione, si dovesse fare il giro per Padola ,Due case i cui lavori erano stati iniziati con l’intenzione di completarle ad usi famiglia, venivano invece modificate per venir utilizzate come alberghi. Nascevano così il “Tre Pini” di Beppi ed “Il Cardo” di Cesare. Anche un’altra abitazione privata, quella di Domenico Caio, veniva, in parte, adoperata ad uso dei villeggianti con il nome di: “Pensione Dolomiti”. Gestita da sua moglie Irma, di origine dantina, ma vissuta in Francia fino al suo matrimonio. Lo sviluppo turistico del paese ha avuto un altro buon momento con il nuovo skilift da Cianpo a Caradiés che richiamava gente dal Comelico, dal Cadore e perfino dall’estero. Oltre al Tre Pini, anche Alle Alpi ed Il Cardo venivano infatti riempiti di clienti belgi e francesi che si alternavano in turni quindicinnali per poter sciare in paese nostro o per compiere giri turistici per vedere Cortina o la Val Pusteria. Anche al lago di Cestella era sorto uno chalet e potevi fermarti per pranzare e divertirti a pescare trote e portartele a casa per preparartele poi sulla piastra. Quel bell’accordo è durato però per ben pochi anni. Ora è rimasto dopo una buona ristrutturazione e dotato anche del superfluo, il solo Tre Pini dove è attiva soprattutto la Pizzeria. Degli altri tre, il Cardo è stato diviso in appartamenti assegnati tra sorelle e fratelli; gli altri due sono stati venduti e divisi in tanti mini appartamenti. Rimane solo da sperare che lì’ da Beppi, riescano a proseguire l’attività perché arrivare a Danta e non trovare dove potersi sistemare per mangiare un piatto di minestra non sarebbe certo bello. Vedremo se, tra i nostri giovani o i turisti che stanno acquistando case e fienili, si farà avanti qualcuno che crede nella possibilità di risparmiare un po’ di bei euro dando vita ad una attività adatta a garantire decorosi alberghi e generosi pranzi anche ai nuovi villeggianti che giungeranno a Danta. |
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Arone dal ’34; tenpe dal Fascismo. L partito, fra l tante robe prviste in favor di operai, avéa deciso da fei verde daprduto i “ Dopolavoro”, na spezie d’ostaria gno che i operai podè dì a bevse n goto e pasàse n’oreta doiando a carte. Anche a Danta é sto verto un, in Vilapizla, zla ceda d Iaco Pangon, cu la licenza btuda però a nome dla so femna, Tizia d Canton, parchiè c li c n’era n teserò al Partito fascista n podé otignìla a so nome. Cun doi mobili vece e calc taulin,, portade du dala ceda d Rsina d Zilia, e n puece d gote, i à podù inbastì su l’ostaria c è stada verta dopo n viaduto d Tizia, a Sa Stefi pr otignì da Krater, a credto, do bote d vin. Cu sta Tizia, dona e crsuda zl’anbiente dl’ostaria d Canton, so pare Canton, iuteda anche da so fia Rina, l Dopolavoro s’è fato lolo nome, La todela era n fulmin tanto a srvì al banco come a portà l guantiere fora dante, gno che. in pes, a soroio, pausea ciacolando e pipando i omi. La ceda, a piantera, avé stanze bele e piene d lus come dute chele d Vilapizla e, pr d pì, tanto anpie c te podé insarzà su na sala da balo in pueco tenpo e zienza fadia. Così era nasù l Dopolavoro c era gnù lolo l pì bel luego d’incontre e d spaso pr doign e vece. N ciapo d nostre tode se cetea, ogni festa, ilò, a balà cun doign c s’altrnea ciantando, sonando fol, bason, chitare e mandolins. Anche l manifestazionute come l premiazion pr l gare d sci organisede dal Partito gnè fate ilò, cu la prsenza dal segrtario comunal, d chel dal Partito e anche dal Podstà, se n l’era n foresto c stade fora. Cu la morte d Tizia, subrntra, come titolar dla licenza, la fia Rin c rende l Dopolaoro senpro pì acoliente e inportante pal paese. Pasa i ane, canbia la situazion dla fameia, , canbia i paroign, canbia anche al so ulrmo nome: “ Bar al Cacciator” e, d pare in fi, lo portarà inante Edi fin a cuan che. gnù n bravo idraulico, l s creia na bela dita che i so fis riusicrà a ingrandì e rendla famosa in duto l Cadore. Zal fratenpo Rina avea lasò Danta pr l’Australia, sposada a Severino, un di Matea c era emigrò ladù com etre so fradis. Chi c la rcorda incuei - e i à pasò i “anta”! - n puè c rcordala parona dla scena zli ore bele dal Dopolavoro, zi bale gno c n la mancé mai, suportada dala bleza dl’età, da n spirito d’iniziativa c atirea anche l so amighe. Cuance doign u todele ne à lasade pr sparpagnase in giro pal mondo in zerca d laoro é s’é fate,da lontan, na fameia e na patria nueva? D duce chese chié rcorde è rstade dla so dovntù, dla so vita da riedute, dl so féi parte d chela dal paese, dl sintis bate l cuere sognando l son dl nostre cianpane? Voietre, c me liedarede, s ede algo da contame su sti nose c é pal mond ciameime, scriveime e farei in muedo da lasà algo c parle anc d luere sui libre u anche solo su chi apunte c sarà i mi ultme bocoign d rcorde dla Danta d’inclota. |
IL DOPOLAVORO Eravamo nel 1934; tempi del Fascismo. Il Partito, fra le tante cose previste in favore degli operai, aveva deciso di far aprire ovunque i Dopolavoro, una specie di osteria dove gli operai potevan recarsi per bere un bicchiere e trascorrere una oretta giocando a carte. Uno ne è stato aperto anche a Danta, in Villapiccola, in casa di Giacomo Pangon, con licenza intestata però a sua moglie Letizia di Canton perché lui,, non tesserato al Partito, non poteva ottenerla a suo nome. Con due mobili vecchi, qualche tavolino, portati dalla casa di Regina di Cecilia ed alcuni bicchieri han potuto allestire l’osteria che è stata aperta dopo d’un viaggetto di Letizia a Santo Stefano per ottenere da Kratter, a credito, due botti di vino. Con questa Letizia, giovane e cresciuta nell’ambiente dell’osteria di suo padre Canton, aiutata anche dalla figlia Rina, il Dopolavoro s’è fatto subito un nome. La giovinetta poi era un fulmine nel servire al banco come nel portare i vassoi all’esterno dove, in piedi ed al sole, gli uomini riposavano chiacchierando e fumando. Al pianoterra, la casa aveva stanze belle e luminose come tutte quelle di Villapiccola e, per di più, tanto ampie che le potevi adattare a sala da ballo in poco tempo e senza fatica. Così era nato il Dopolavoro, diventato subito il più bel luogo di ritrovo e di spasso per giovani e vecchi. Un gruppo di nostre ragazze si ritrovava lì, ogni festa, a ballare con i giovani che si alternavano cantando e suonando fisarmonica, contrabbasso, chitarre e mandolini, Lì venivano fatte anche le manifestazioni come le premiazioni per le gare di sci organizzate dal Partito, alla presenza del segretario comunal, di quello del Partiro ed anche del Podestà, qualora non si fosse trattato dì un forestiero che abitava fuori. Alla morte di Letizia diventa titolare della licenza la figlia Rina che rende il Dopolavoro sempre più accogliente ed importante per il paese. Passano gli anni, cambia la situazione della famiglia, cambiano i padroni, cambia anche il suo nome che doventa “Bar al Cacciator ” e. di padre in figlio, lo porterà avanti Edi fino a quando, divenuto bravo idraulico, si crea onvece una bella ditta che i figli riusciranno poi ad ingrandire e rendere famosa in tutto il Cadore. Nel frattempo Riina aveva lasciato Danta per l’Australi, sposada a Severino, uno dei Mattea che era emigrato laggiù come altri suoi fratelli. Chi la ricorda oggi- ed ha sicuramente oltrepassato gli “anta – non può che ricordarla padrona della scena nelle ore belle del Dopolavoro, nei balli dove non mancava mai supportata dalla bellezza dell’età, da uno spirito d’iniziativa che attirava anche tutte le sue amiche. ” Quanti giovani o ragazze ci hanno lasciati per poi disperdersi in giro per il mondo in cerca di lavoro e si sono fatti, da lontano, una famiglia ed una patria nuova? Di tutti questi che ricordi son rimasti della loro gioventù, della loro vita da ragazzini, del loro far parte della vita del paese, del loro sentirsi battere il cuore sognando il suono delle nostre campane? Voi, che mi leggerete, se avete qualcosa da raccontarmi su questa nostra gente che è per il mondo già da tanto, chiamatemi, scrivetemi e farò in modo di lasciare qualcosa che parli anche di loro sui giornali, su libri o anche solo su quegli appunti che saranno i miei ultimi stralci di ricordi della Danta di quei tempi. |
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GIARGNé. BANCIUTE E, SUL CIANTòN, N GRAN TROVANTE In confronto al contrade de Sora la Gedia e Vilapizla, c avé l cede pì in pian, la Contrada Granda li avea pì in discesa e i portoni avea n salin d len tanto pì auto da na parte c da cl’autra. Così almanco parìa parchié c i era, in parte , cuerte da tera, Pì d’un era n tin rovinò a causa d chi c lo dorea pr pstà sora chelc moc u staip pr beti z fuego. Pr feite nsalin nuevo t’avé senpro dirito d’otignì dala Regola n bocon d pianta ! Pr fortuna n tin d’educazion era rstada zal pì dla dente e n mancéa li os de disprezo cuan c se sintia d sti salins mal ridote, rovinéde proprio ilò gno che, cun duce i tenpe, i canaiute dla ceda se se btéa sntade, a vardà fora chié c s movea sula strada. Proprio chesto era l bel d sti guargnés considrede cariegute pr i poiede u sntade ilò come in mostra, cu n cotùs ala bona, n pai d ueie spalancade su duto chel c s movea dante, sote e sora. Solo s i era n tin pì grandute, i podé lontanase dal porton e rué sul cianton d ceda e spiase intorne l mondo intiero. Rare li ote che i s’insognea d feise doi pase da pì in zerca d chel che solo i avé sintà parlà, ma mai visto, Sul cianton d calc ceda po’, era na crodona auta che gné fora tra l muro e l taren, c parìa btuda là e sliséda e comda pr c se sente du i vece, cuas a fei la guardia ala ceda. Ma sti vece era pedo dla guardia e dal stradin: cridéa senpro cuan c i vdea canaie sula strada parchié c, via pal dì, pasea vace, tore, calc mul u ciaval, fède e pite e pr i pizi era dute ocasion pr feise mal. Cuan c è stad fate i marciapiés è sparude anche cl crodone piens chelc ota d minerai c ludìa, cetade isolade in medo ai pras ncamò al’epoca dal rifabrico. Toloste via chese, é gnud fora l banciute , btude dante l cede e se à scomnzò a vedle , a dute li ore, cun canaie bicede du a dormì u sntade a ciapà soroio. Sul tarde, inante c dés sote al soroio, ciapéa inveze posto l fémne che, cu na scorziata d pizi intorne, s la contea.Pì d’una usea l tabaco da nas e t sintìa l’odor duto intorne. Su etre bance, anche i omi rivivea momente d vita zi cantters e sul dighe fumando la pipa u zigarete fat su a man cu l “cartine” e l tabaco consrvò zla so adata scatoluta. Daliote t sintìa n profumo diverso: calc paesan era ruò da forabia e avéa portò u n zigàro u tabaco “da siore”. Era un di momente c canbiéa anche chel c i se contéa e i era così contente pr cal fortunò che i dispiasìa solo pr al soroio c sconparìa e btea fin al’incontro n tin fora dal comun. |
GRADINO (sulla soglia d’ingresso). PANCHINE E. SULL'ANGOLO DELLA CASA, UN GRANDE TROVANTE (masso tondeggiante). In confronto alle Contrade di Sopta la Chiesa e Villapiccola, che avevano le case più in piano, la Contrada Grande le aveva più in discesa ed i portoni avevano un gradino in legno tanto più alto da una parte che dall’altra. Così almen pareva perché erano, in parte coperti da terra. Più d’uno era un po’ rovinato a causa di chi l’usava per spaccarci sopra qualche pezzo di ceppaia o tronco per gettarli nel fuoco. Per farti un gradino nuovo avevi sempre diritto d’ottenere dalla Regola un pezzo di pianta. Per fortuna un po’ d’educazione era rimasta nel più della gente e non mancavano le voci di disprezzo quando si sentiva di questi scalini mal ridotti, rovinati proprio lì dove, con ogni tempo, i ragazzini della casa si mettevano seduti, a guardare fuori quel che succedeva sulla strada. Proprio questo era il bello di questi gradini considerati seggioline per i più piccoli distesi o seduti come in mostra, coi vestitini alla buona, un paio d’occhi spalancati su tutto ciò che si muoveva lì davanti, sotto e sopra. Solo se un po’ più grandicelli, potevano allontanarsi dal portone e giunger fino all’angolo di casa per vedersi attorno il mondo intero. Rare le volte che si sognavano di far due passi in più alla ricerca di ciò di cui solo avevano sentito parlare, ma mai visto. Sull’angolo di qualche casa, c’era un grande sasso alto che sporgeva dal muro ed il terreno: sembrava sistemata lì e levigata e comoda perché possan sedere gli anziani, quasi a guardia della casa. Questi però eran peggio della guardia e dello stradino; li sgridavano sempre quando vedevano bambini sulla strada perché, durante il giorno, reansitavano mucche, giovenche, tori, qualche cavallo, pecore e galline e, per i piccolim eran tutte occasioni per farsi male. Quando sono stati fatti i marciapiedi, son spariti anche quei massi talvolta pieni di minerali lucenti, rinvenuti isolati in mezzo ai prati ancora ai tempi del rifabbrico. Eliminati questi, sono apparse le panchine, poste davanti alle case e si è incominciato a vederle, a tutte le ore, con bambini stesisi a dormire o seduti a prendersi il sole. Sul tardi, prima che tramontasse il sole, erano invece le donne che, attorniate da una caterva di piccoli, vi prendevano posto e se la raccontavano. Più di una usava il tabacco da naso e ne sentivi l’odore tutto attorno. Su altre panchine, anche gli uomini rivivevano momenti di vita in cantieri e sulle dighe fumando la pipa o sigarette preparatesi a mano con le “cartine” ed il tabacco conservato nell’apposita sua scatoletta. Talvolta tu sentivi un profumo diverso: qualche paesano era giunto da fuori ed aveva portato o un sigaro, o tabacco “da signori”. Era uno dei momenti in cui si cambiava anche ciò di cui parlavano ed eran così contenti per quel fortunato che si sentivano dispiaciuti solo per il sole che scompariva e metteva fine a quell’incontro un po’ fuori del comune. |
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