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Pasatenpe - Passatempi

Le credenze di un tempo diventano le leggende di oggi.
La sezione raccoglie racconti brevi esposti con lo stile che l'autore ha voluto mantenere come nei suoi ricordi di fanciullo: fiabesco, misterioso ed anche un po' magico...

LA SFINGE

Cuan ch la Tera era ncamò duta sot sora e i Titane dominé tra i vive, era chi ch tra sti personas pi' inteligente,riuscia a capì l parlà che usea l montagne pr mandase mesagi, sfidase in auteza, dominé i evente che podé favorì l cresce d na zima pitosto d n'autra e prfin pr informà su chié ch podé capité. Algo d simile-così s tramandea i vece dla Danta antica- era suceso tra la Brgagnina e l Piedo, n vulcano in atività, intnzionò a bicé lava, crode,bloche infogade fin a inpì l vueto ch dala Iarnola d'incuei avrà dovù rué al valade d l'Ansie, dal Padola, dal Piave. La Brgagnina, che a simbol dal deido d Dio, volé dominé, vdea inveze ze n dì lontan, cl tere intarsiede d fiore ch bté fora l ciò tra pozues, lars dorade, faghere e i aune. A' alora obligò l vulcano a studé cal fuego che i burdé dinze parchié che, ridoto a tofe, i podes srvì a chi omi che avrà fato nuevo n paese, proprio dantte d li, pr ozà dopo na tore comeringraziamento a cal Dio ch li avé criede. L vulcano, inrabiò e pien d boria, à scomnzò inveze a bicé fora fiame e tera cu ncamò pi' forza tntando d e sfiguré la Bergagnina Chesta s è cuerta lolo ciò e spale cu n manto enorme. Furibonda, à tacò a bicé du crode, solon e bocoign d tofo e, à fulminò l so avrsario spalancando i ueie. N boato à spacò nughi e silenzie. Dopo, na os potente à cuerto duto z n colpo: "Ie sei la Sfinge, Dante d me gnirà su Danta, n paese d pas ch protegiarei da te, dal fuego e dal'aga. La to lava gnirà tofo e d tofo sarà fata cla tore ch s'ozarà maestosa ala vista d duce. E pr cal dure pr senpro l segno dla to sconfita, ogni dì, da danta i vdarà me. la Sfinge, buseda dai rage dal soroio inante ch al seia su auto zal zielo. Sora d te, ridoto ormai a n bosco d pozues, i btarà n segno d pas e d fiduzia pr chi che, da ladù, n vede e ne amira. L'eco d ste ultme parole sfumea tra i monte lontane intanto ch n blisimo arcobaleno, partendo dal deido d Dio, s slongéa cuardendo l zielo.Così n'ota, d vecio in vecio, s'avé tramandò sta legenda Da pueco, l'imagin dla Sfinge s'è canbiada pr calchdun in chela de n Cristo cul volto scavò e sofrente. Vuesto conferma? Bet-te tra l diese e mdodì, in Pieza Lutim u pasa Pieza 4 novembre cul bel cianpanin e va pr via Marconi. T vdaras a sud, l col boscoso d Piedo e pi' otra la Brgagnina ch t darà la straordinatia vision d h volto. L to cuere e chel ch t'as inparò zla vita t dirà chié nome daighi. Se po0 t volaras dì su ala madonina, sul Piedo, t cetaras i reste dl vece cave da gno ch è sto tirò fora l tofo ch dal 1901 à srvù pr fei la stupenda tore mrlada.

LA SFINGE (Il dito di Dio)

All'epoca in cui la Terra si sommoveva ancora tutta ed i Titani dominavano tra i viventi c'era chi, tra questi esseri più intelligenti, riusciva anche a capire il linguaggio che le montagne usavano per lanciarsi messaggi, sfidarsi in altezza, dominare gli eventi che avrebbero favorito la rapida ascesa d'una cima a scapito di un'altra e perfino per annunciare eventi futuri.
Qualcosa del genere,- così si tramandavano i vecchi della Danta antica, - era avvenuto anche tra La Bergagnina ed il Piedo, allora vulcano in piena attività ed intenzionato ad eruttare lava, lapilli, masse incandescenti fino a colmare il vuoto che dall'odierna Aiarnola avrebbe dovuto estendersi alle attuali vallate dell'Ansiei, del Padola, del Piave.
La Bergagnina, che voleva troneggiare- a simbolo del dito di Dio - vedeva invece, nel lontano futuro, quelle terre trapunte di fiori incastonati tra piante d'abeti, d'aurei larici, di faggi ed ontani.
Impose perciò al vulcano di spegnere quel fuoco che gli ardeva in corpo perché, tramutatosi in tufi, potessero servire a quegli uomini che avrebbero ricostruito un paese, proprio davanti a lui, per innalzare una torre a lode del Dio che le aveva create.
Il vulcano, stizzito ed arrogante, iniziò invece ad eruttare con ancor maggior violenza tentando di sfigurare la Bergagnina che si coprì subito con un un manto immenso testa e spalle. Smosse poi, furibonda, pietruzze, sabbia e lapilli e sgranò minacciosa gli occhi fulminando l'incauto suo avversario. Un boato squassò nubi e silenzi. Poi una voce stentorea s'impose improvvisa: "Io sono la Sfinge. Avanti a me avrò Danta, un paese di pace ch'io proteggerò da te, dal fuoco e dall'acqua. La tua lava diventerà tufo e di tufo sarà quella sua torre che si ergerà maestosa alla vista di tutti. Perché poi il segno della tua sconfitta rimanga perenne, da Danta vedranno ogni giorno me, la Sfinge baciata dai raggi del sole prima ch'esso sia alto nel cielo. E sopra di te, reso ormai solo un monte d'abeti, verrà posto un segno di pace e di fiducia per chi da laggiù ci vede e ci ammira".
L'eco delle ultime parole sfumava tra i monti lontani mentre uno splendido arcobaleno, partendo dal dito di Dio, s'andava stendendo nel cielo.
Così una volta, di vecchio in vecchio, s'era tramandata questa leggenda. Più recentemente l'immagine della Sfinge si tramutò, per qualcuno, in quella del Cristo dal volto scavato e sofferente.
Vuoi rendertene conto? Piazzati, tra le dieci e mezzogiorno, alla fontana di Piazza Luttin o supera piazza 4 novembre dominata dal caratteristico campanile e prosegui lungo via Marconi.
Vedrai lì vicino, a sud, il colle boscoso del Piedo e più oltre la Bergagnina, il dito di Dio che assumerà anche per te l'immagine straordinaria di un volto.
Il tuo cuore e quanto hai appreso nella tua vita ti ispireranno quale nome tu ad essa debba dare.
Se poi vorrai salire alla Madonnina posta sulla vetta del Piedo vedrai anche i resti delle vecchie cave da dove hanno estratto il tufo che, nel millenivecentoeuno, sono serviti per costruire la stupenda torre merlata.

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L'AGA MIRACOLOSA D PALU'

Danta n'ha mai avù na farmacia, ma s l'è fata sul'esprienza che s'era fata i vece su l'uso dli erbe come mdzine. In ogni ceda s l coiéa inprevision soralduto di malane che capitea zi freide meis d l'inverno e gné btude a suié cu tanta cura. N'aga altretanto Miracolosa era chela ch se coré a ciapà pr feila eve a n malò prfin zi case grave d polmonite. E la forza d varì ch avé sta aga t la capìa dal corse su e du da Palù ch amici e parente fadé pr aveila d riserva. La sorgente è ilò, a Palù, sot al col ch va su erto verso s:Barbora e na tubatura d pena dies metre te ofre n'aga bela, invitante, fresa zla pena rifata fontana. La fotografia d n'aga purisima e linpida vien dal'analisi chimica. Parirà proprio zienza niente d miracoloso, ma così n i la pensa nanche incuei tance d Danta. E forse pi' ch miracolosa pr malatie st'aga à ncamò incuei na roba: n lasa gese cuan ch t la fas cuei. E n'è pueco!

L' ACQUA MIRACOLOSA DI PALU'

Danta non ha mai auto una farmacia, ma se l'è costruita sull'esperienza acquisita dai vecchi nel campo dell'uso delle erbe come medicine. In ogni casa se ne raccoglievano in previsione soprattutto dei malanni ricorrenti nei freddi periodi invernali e venivan poi messe ad asciugare con religiosa cura.
Altrettanto miracolosa era un'acqua che si correva ad attingere per farla bere all'ammalato perfino nei casi gravi di polmoniti. E, ne testimoniavan l'efficacia le ripetute corse, giù a Palù, di parenti ed amici per rifornirne la riserva.
La sorgente è lì, a Palù, ai piedi del colle che s'inerpica verso santa Barbara ed una tubatura d'appena una decina di metri te la offre bella, invitante, fresca nella fontana riassestata recentemente.
L'analisi chimica è la fotografia d'un'acqua limpida, straordinariamente pura. Parrebbe proprio priva di miracolose proprietà, ma così non la pensano neppur oggi tanti dantini. E forse più che prodigiosa contro le malattie quest'acqua ha ancor oggi una caratteristica: non lascia depositi quando la porti a bollore. E non è poco!

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L BUS DLI ONGANE

Cuan che un sintìa parlà dli Ongane, l coleghea senpro a scene d paura e d spavento pr l so fareze u pr la so voia d fei dal mal ai pizi che ruea sot l so man. Era esere strane. Scondo calchdunm brutisime femne cui pes da ciaura, pr etre inveze bel todele cu la coda da pesce u d sarpente teribi e vlnode. Vivea zi bosche, ben scondude zl grote nnaturale pi' profonde e se tsché al stupidin che aves avù l coraso da entrà inze. Bele u brute che l fos stade, ele savé lolo entrà in sinpatia dl'ospite abusivo che, amaliò prfin dal'oribile aspeto, pardé l rdordo dl robe pi' care, s pardea z n sono inatural. Dopo li sarà dsdò e librò da cla magia solo tornando zla caverna cu n rieduto da lasà pr ch lo maze l'ongana. I spavente e l paure criede da sta legenda à scomnzl a calmase man man che secoi se dontea a secoi, ma l groite, l caverne dli ongane à continuò a ese ciamade senpro cu n sto nome. In Danta, ncamò incuei, è na caverna z n bosco, sula destra dla strada che da santa Barbora porta in zima sl Palude. Ilò, zento ane fa, dendo contra chelch didea la teribile legenda, l Comun d Danta à deciso d verde na cava pr tiré fora na parte dl crode necesarie pr costruì l cianpanin. Nsuna dsgrazia à colpù l sindaco e duce i aministrators che avé aprovò d profanà in cal muedo l Bus dli Ongane e intanto adesl ricordo d sta so legenda sfuma senpro da pi' tra l nueve generazion.

L'ANTRO DELLE ONGANE - (ANGUANE )

Quand'uno sentiva parlare delle Ongane le collegava sempre a scene di raccapriccio e d'orrore o per le loro fattezze o per il criminale loro desiderio d'infierire sui piccoli caduti in loro mani. Erano esseri strani. Secondo alcuni, orribili donne con piedi di capra, per altri, belle fanciulle con coda di pesce o di temibile velenoso serpente. Vivevano nei boschi ben nascoste nelle grotte naturali più profonde e s'avvinghiavano all'incauto che si fosse azzardato ad entrarvi. Belle o brutte che fossero sapevano subito accattivarsi la simpatia dell'intruso che, soggiogato dal fascino che emanava perfino dal terrificante loro aspetto, scordava quanto aveva di più caro, s'adagiava in un sonno innaturale. Se ne sarebbe risvegliato e poi liberato da quel sortilegio solo tornando alla caverna con un piccolo da cedere, quale vittima, all'anguana. I timori e le paure creati da questa leggenda sono andati scemando man mano che secolo s'aggiungeva a secolo, ma le grotte delle anguane continuarono ad essere così chiamate.
In Danta, ancor oggi, ce n'è una posta nel bosco sulla destra della strada delle Piazze, quella che da santa Barbara porta in cima alle Paludi. Lì, cent'anni fa, sfatando appunto la terribile leggenda, il Comune di Danta decise di aprire una cava per estrarre parte dei sassi necessari per la costruzione del campanile. Nessuna disgrazia colpì sindaco ed amministratori che deliberarono di profanare in quel modo il "Bus deli Ongane" mentre il ricordo di questa loro leggenda sfuma sempre più tra le nuove generazioni

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L'ALLOCCO

Tempo fa, tanto tempo fa, trilli e svolazzi invadevano paese e boschi fin dai primi sciogliersi delle nevi e s'attutivano e diradavano solo con la partenza delle rondini.
La gente, semplice e parte di quella natura idiliaca, viveva l'evolversi delle stagioni ed il susseguirsi d'avvenimenti come se tutto rientrasse nel destino che regolava la propria vita.
Per questo, uno scricchiolio notturno di mobili nella camera da letto, un ripetuto svolazzar di pipistrelli davanti alle finestre della casa, uno strano sogno con i propri morti costituivano sinistri presagi. Tra i segni più nefasti era però da considerarsi il sentir "la Bagarola", l'allocco, quella specie di gufo che raramente nidificava dalle nostre parti e che per questo dava scarsi segni della sua presenza notturna.
L'effetto di tale premonizione di sventura e disgrazia, il più spesso vissuta segretamente per non allarmare le persone care, veniva allegerito da un intensificarsi di preghiere spesso abbinate all'ordinazione di una messa di suffragio per chi - dall'aldilà - s'era premurato di vaticinarla.
LA BAGAROLA

Tenpo fa, tanto tenpo fa, n ghirlé e n dolazàà d'ozì invadea paese e bosche fin dai prime dselgase dal neve e pian pian senpro manco te i sntìa e te li vdea solo cuan ch dé' via l zirie. La dente, senplice e cuas parte d sta natura da sogno, vivea l di inante dl stason e l'avicendase di avenimente come se duto rientres zal dstin ch rgolea la si vita. Pr chesto, d nuete, n scrichiolé d mobili zla canbra da liero, n riptù sdolazà d nuetle dant l fonestre d ceda, n sogno stran cun i so morte, fadé pnsà a n brute presagi. Tra i segne che pi' porté mal era da considrase l sintì "la Bagarola"l'allocco, cla spezie d gufo ch d rado fadé coa dal nostre parte e ch pr chesto dadé segne dla so presenza durant l nuete. Sibtìlo ciantà era n spitase sventure e dsgrazie, speso cun duto tignù segreto pr n bete in paura l prsone pi' care. S zrchéa da tignì lontan l'efeto d ste premoniziòn cu n aunbtà li orazion speso msdandole cu la ordinazion d na mesa d sufragio pr l'anma d che xhe, da l'aldilà, s'era fato premura de anticipé na posibile, bruta notizia.
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L FILANDELL CIAMA LA PIOA

Senpro pr dà vita ala os di ozì, sta ota però pr n avertimento ch porté ben, rcordo chel che al filandel mandea ai nos contadine ntanto che i siea e rodlé l'erba bel btuda a suiase e cuas pronta pr ese portada z tabié. L so strano zighé, riptù tante ote, era segno che stadè pr rué la pioa. Pr ch n se biande al fien, cuas bel duto suto, era meio alora inpianta là da sié e scomnzà a betlo sui pale fate aposta pr ch dopo l fien fnisa d suiase dal duto.

IL NIBBIO CHIAMA LA PIOGGIA

Sempre per dar voce agli uccelli, ma stavolta per un loro benefico intervento, ricordo l'avviso che "l filandel" mandava ai contadini intenti a falciare e rivoltare poi l'erba già messa a seccare e quasi pronta per essere portata nel fienile.
Il suo grido ripetuto era segno dell'avvicinata della pioggia. Per non bagnare il fieno quasi del tutto secco, era meglio sospendere la falciatura e procedere a metterlo sugli appositi pali per completarne poi l'asciugatura al sole.

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LA MADONA DAL TEREMOTO

Tradizion e cardenze popolare s rfris soralduto a convinzion religiose ch era tabto sintide dai nos vece. L mondo d'incuei vive i avenimentecun pi' distaco, ma i anziane resta ncamò tacade a chele. Trena ane fa, n teremoto terobile à distrutto, zal Friul, paese intiere e l'onda d'urto à oltrpasò li Alpe. La so eterna provrbial resistenz a duto à risentù inveze al punto che intiere bocoign d monte s è sgretolade sboando a val. L segno dla rocia stacada, ben in vista pr al nuevo color dla croda rstadas presenta ncamò polito al ueio ch lo varde. L fianco d la Iarnola verso Danta, à rientù anch li dal teremoto e t vede polito l conseguenze se t ferme a vardalo cu t vas da Vilapizla al campo sportivo. La dente ch s'era lolo inacorta dal bocon d monte ch s'era stacò, à intravisto, intaieda zal biancor dla rocia, la figura d na femna cul ciò baso, inclineda inante, in èpsiziom com s la pries. In chi tenpe se parlea dla pokveriera dl Cusine come de n deposito d matrial pr misili, tragicamente pericoloso pal paese. Sti os avé bel convinto l stradin Iaco, a pnsà d feu su, su zl Pieze, na gediuta ala Madona pr domandai ch la salve l paese. Cla figura d femna come in orazion, è stada lolo considereda come na irasicurante nagine dla Madona che, da ilò, avrà riguardò la sicureza d Danta.

LA MADONNA DEL TERREMOTO

Tradizione e credenze popolari hanno soprattutto riferimenti alle convinzioni religiose che erano particolarmente radicate nei nostri vecchi. Il mondo d'oggi vive gli avvenimenti con maggior distacco, ma ad esse gli anziani rimangono ancora ancorati.
Trena anni fa un terribile terremo distrusse, in Friuli, interi paesi e l'onda d'urto si propagò fin oltre le Alpi. Ne risentì anche la loro proverbiale immutevolezza al punto che interi strati di montagna si sgretolarono franando a valle.
La ferita, ben visibile per il nuovo colore assunto dalla roccia rimasta, si presenta ancora chiaramente all'occhio che la osservi.
Il fianco dell'Aiarnola, sul versante verso Danta, è stato pur esso interessato dal fenomeno e ne osservi ben le conseguenze se su di esso soffermi il tuo sguardo andando da Villapiccola al campo sportivo.
La gente ha visto, stagliata nel biancore della roccia, la figura di una donna col capo chino, inclinata in avanti in posizione di preghiera.
In quel tempo si parlava della polveriera delle Cusine come di un deposito di materiale missilistico, tragicamente pericoloso per il paese. Tali voci avevano già spinto Giacomo, lo stradino comunale, a pensare di edificare, nelle "Piazze", una cappella alla Madonna per impetrare la salvezza del paese.
Quella figura di donna orante fu subito considerata come una immagine rassicurante della Madonna che, da lì, avrebbe vegliato sulla sicurezza di Danta.

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ZSTELA, L LAGO SPARU'

Il Cestella non è certo un gran lago. E' solo n pizal specio d'aga gno ch s riflete l'intiera corona d monte ch è intorne e che, d'otono, tira su tra li onde ch apena s mueve, tapete d foie d duc i colors che l vento à tirò du dal piante. Tenoi fa, era ben cognosù dai doign ch dea a ciapà ganbar che, solo usando l to man, t podé ciapai sconte sote l zope dla riva. Pi' tarde è sto fato n chalet, parciò n bel duego pl bale e se à scomnzò a ripopolà l lago somnando trote e racabdose al'acquedoto comunal pr avei senpro l'aga corebte becesaria pr alevale. N dopomdodì d luio. Na inprovisa clona d'aga è schizeda su verso l zielo e, in apena trei ore, la parte pizla dal lago era sparida. Soralueghe fate dai tecnici, na intiera pagina ilustrativa d sto fenomeno raprsentada sula Domenica del Corriere, articoli su duce i giornai cuotidiane dl'epoca e po', pr diverse ane, n lago malò. L longo laoro dal paron dal chalet l'à riportò ala so bleza d'inante. Zi vece però è ncamò ben presente l ricordo che era sto tramandò a luere su la cuna sprofondada zal lago d sant'Ana e gnuda su zal Zstela.

CESTELLA, IL LAGO SCOMPARSO

Il Cestella non è certo un gran lago! E' solo un piccolo specchio d'acqua su cui si riflette l'intera corona di monti che lo circondano e che, d'autunno, raccoglie tra le onde appena tremolanti, tappeti di foglie multicolori che il vento ha strappato dagli alberi. Tempo fa, era ben conosciuto dai giovani che ci andavano per i gamberi che, già con le sole mani, potevi facilmente pescare nascosti sotto le zolle della riva. Più tardi vi fu costruito uno chalet, si predispose un bel campo di bocce e si niziò a ripopolare il lago con le trote e l'acquedotto comunale fornì l'acqua corrente per il loro allevamento. In un pomeriggio di luglio un'improvvisa colonna d'acqua s'innalzò verso il cielo ed in tre ore la parte piccola del lago non esisteva più. Sopralluoghi di tecnici, un'intera pagina illustrativa del fenomeno sulla Domenica del Corriere, articoli sui quotidiani dell'epoca e poi, per diversi anni, un lago ammalato. Il lungo lavoro del titolare dello chalet lo riportò alla sua bellezza primitiva. Nei vecchi però assume ancora maggior risonanza il ricordo loro tramandato della culla sprofondata nel lago di sant'Anna e riaffiorata nel Cestella.

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LA CAPRA DI MALìO

(Emigrata nel 1925 e rientrata bel 1985 a Danta per rivedere il suo paese, così mi raccontava):


Ero ancora bambina. Malìo, un attempato e strano ometto che abitava vicino a noi, Di primo mattino, lasciava la sua casa ed enrava nell'attigua stalla uscendone poco dopo con gli attrezzi in spalla ed una capretta che lo seguiva nel prato o nel bosco dove egli si sarebbe trattenuto a lavorare fino al tardo pomeriggio.
Era una cosa che si ripeteva quotidianamente, dal momento in cui la neve si scioglieva fino a quando essa non tornava a ricoprire il manto erboso. Sull'ora di passaggio di Malìo, la gente poteva organizzare i suoi lavori quand'anche si fosse fermato il nuovo orologio del campanile.
Venne il giorno in cui il vecchio lasciò questo mondo.
La sua capretta, uscita liberamente dalla stalla, lo attese sulla porta d'ingresso della casa nonostante il viavai di persone. Quando lo portarono al cimitero essa lo seguì da lontano, giunse fin sopra il muro di cinta, su verso santa Barbara e non se ne andò fino a quando non sopraggiunse il buio. Poi se ne tornò nella stalla che nessuno più s'interessava di chiudere.
Divenne normale vedere, al primo sorgere del sole, la capretta che saliva verso il cimitero, entrarvi attraverso la porta sconnessa, brucare l'erba tra le tombe trascurate e poi risalire sul muretto di cinta, incantata ad osservare invece quella più pulita che nascondeva Malìo.
A distanza d'anni, anche questa apparve abbandonata: se ne era andata anche la sua capra! Con essa riapparvero le erbe attorno a troppe tombe.
Divenne ordinario sfogo nei confronti di chi in cimitero non ci andava mai o non curava le tombe dei familiari dirgli:"Dovresti imparare dalla capra di Malìo"!

LA COMPISSEDA

Il timore delle mamme per i propri figli nei confronti degli spiriti del male è evidenziato in questa storia che si realizza nell misteriosa notte dell'Epifania.
Serata fredda, gelida, con il paese silenzioso ed i piccoli in attesa della Befana che porterà loro qualche carruba, castagna secca, arachide o carboncino tolto dalla cucina economica. E' il momento buono per le raccomandazioni ed i racconti paurosi tali da convincere i bambini ad essere obbedienti e non uscire mai per le strade nelle ore notturne.
Improvvisamente si spalanca la porta ed entra una strega, la Conpiseda che s'avvicina al più piccolo e vuol strapparlo dalla mano della mamma.
Urla di tutti, ma freddezza intelligente della mamma: "Che ti ha fatto per portartelo via? Vai a prendere quei cattivi che rispondono alle mamme e disubbidiscono. I miei sono tutti buoni" !
" Te lo lascierò- dice la strega- solo quando verrai alla fontana e mi riempirai un recipiente pieno d'acqua perché muoio di sete"
"Accetto. Andiamoci, ma tu giurami che intanto i miei bambini se ne staranno qui tranquilli."
In un angolo della cucina c'era "l drei", un crivello che la mamma intendeva ripulire prima di riporlo all'asciutto per l'autunno. L'afferra e, preceduta dalla Conpiseda, s'avvia alla fontana. Lo posa sotto il getto e l'acqua lo investe con forza. La stolida strega attenderà inutilmente, fino alle prime luci dell'alba, che esso si riempia. Mentre si affievolisce la luce delle stelle svanirà anche la Conpiseda.

UNA CULLA- DAL LAGO S. ANNA AL CESTELLA

La strada da s.Antonio a Padola, costruita dal 1915 al '17, esisteva solo come misera carrarreccia. D'inverno ci passavano solo le slitte; d'estate vi transitavano i carri.
Su uno di questi stavano scendendo da Danta babbo, mamma ed una piccola che dormiva nella culla.
Giunti all'altezza del lago sant'Anna, il cavallo imbizzarritosi rovescia il carro e la culla affonda nel lago. I genitori si precipitano lungo lo scosceso pendio, ma nè della culla, né della piccola si intravvedono segni.
Ricerche proseguite per giorni e giorni non portano ad alcun risultato positivo.
Verso il tardo autunno, tra le foglie ingiallite posatesi sul quieto lago di Cestella, riappare intatta, ma vuota, la culla che si era sprofondata nel sant'Anna.
Vicenda impossibile: il Cestella si trova ad un'altezza superiore al sant'Anna. Pensare di far cadere la culla ne Cestella è altrettanto impossibile perché non esisteva alcuna carrarreccia che conseniva di giungervi con un carro. Forse la fantasia popolare ha creato una disgrazia risoltasi miracolosamente.

TOCCARE IL PALETTO DI CONFINE PORTA MALE

(Alla base forse l'idea di sedersi e poi spostar i confini per ampliare abusivamente la proprietà è un peccato che verrà punito. La realtà potrebbe risalire invece all'essersi seduti sulla terra bagnata ed aver preso qualche attacco di reumatismo risoltosi senza la medaglia prodigiosa)

Vengono ricordati casi di persone che, per essersi sedute sopra il sasso di confine o aver toccato il paletto che ne delimita la proprietà, si sono trovate improvvisamente paralizzate agli arti inferiori o nelle braccia. Ci si può creare sopra il caso di giovani promettenti ridottisi a persone claudicanti. L'aver posto poi sulla parte bloccata una medaglia benedetta, portava alla guarigione.

ALLONTANARE LE STREGHE CHE PORTAN DISGRAZIE

E' l'Epifania, giornata che la traduzuione popolare vuole sempre popolata di fantasmi, di streghe e Befane. Appena si farà buio, esse tenteranno di invadere le case per lasciarvi la loro maledizione ed i segni premonitori di disgrazie, malattie, morte.
Di una sola cosa hanno paura: l'acqua benedetta; un solo segno le allontana e le fa fuggire: la croce.
Per questo, calato il sole ed intravvisto il primo barlume d'una stella, giovani e uomini ancora in forze si chinano ripetutamente e si riempiono le mani di neve che poi schiacciano e comprimono fino ad ottenere grosse palle di neve. Una volta asperse con acqua benedetta proprio in quel giorno, le lanciano diagonalmente oltre il tetto formando la grande croce che proteggerà l'intera casa per l'intero anno.

IL MORTO CHIAMA UN ALTRO

Il funerale passa sempre per la Piazza centrale. La processione avanza con la solita cadenza mentre i cantori ripetono i soliti salmi e le donne recitano il rosario.
Si è giunti in Piazza,.La parte del corteo che precede la bara, camminando in modo troppo veloce, ha staccato il resto della processione e si deve fermare per consentirne il riaggancio.
Segno premonitore che a quel funerale ne seguirà presto un altro.

IL PIPISTRELLO IN CAMERA

Spesso nelle calde sere esrive le finestre delle camere rimanevano aperte e qualcuno le lasciava così per l'intera notte. Gli scricchiolii ed i rumori, che a volte ti spaventavano, erano spesso causati dalla umidità o arsura dei mobili. Ma se ti svegliavi e ti trovavi in camera la "nuetla", il pipistrello era il chiaro segno che un'anima dei tuoi cariti chiedeva preghiere per lei.

CARRO, CAVALLI, MALSPIRITI SOPRA SNT'ANNA

Avevano lavorato tutto il giorno sulla strada per Montecroce e volendo evitare di tornarci il giorno successivo per le rifiniturem si erano trattenuti lì fin quando il sole era da lungo tramontato.
Riposti sul carro tutti gli attrezzi ed una buona quantità di cimali sempre utili per riscaldarsi all'inverno, agganciati i cavalli che nel frattempo avevano consumato la razione di biada si misero sulla via del ritorno pregustando il piacere di sedersi al tavolo dell'ultima osteria che avrebbero incontrato in Padola salendo verso il Passo sant'Antonio. Ci giunsero quando in paese sì erano già accese le luci nelle case e nelle strade.
Sistemarono tra due alberi carro e cavalli e, perchè questi non cercassero avventure, misero loro avanti del fieno ed altra biada.
Accolti con la solita complice cortesia, la signora posò loro innanzi il classico fiasco ed i due bicchieri. Il vino era buono, la compagnia piacevole; il peso della fatica della giornata sembrava affievolirsi.
Era notte fonda e s'era pure alzato un forte vento quando se ne uscirono e si avviarono verso Danta. I cavalli trainavano il carro con la solita lena e ben presto si trovarono nel fitto del bosco con la strada illuminata dalla scarsa luce del mozzicone di candela del fanale.
Giunti proprio sopra il lago di sant'Anna i cavalli s'irrigidirono nitrendo. Non ci fu verso di farli ripartire. Tra il sibilar del vento parve loro d'udire imprecazioni e maledizioni.
S'erano venuti a trovare in mezzo ad una lotta di Malspiriti e nulla potevano fare gli uomini.
Sudavano freddo ed uno, ricordando quanto raccontavano i vecchi, iniziò a pregare invitando l'altro ad imitarlo. Fu questione di secondi: questo non pregò, ma frugò nelle tasche, estrasse una medaglietta e, stretta tra le dita, tracciò con essa in aria una croce.
Il vento cessò; tacquero improvvise le voci. Di tra le nubi squarciate iniziò a brillare la luna che li accompagnò fino a casa.

LA ROCCA DI DANTA ABBAIA

La seconda tra le tre grandi campane sistemate sul campanile di Danta è chiamata "La Roca". I suoi rintocchi non sarebbero altro che un ripetersi della invocazione: A fulgore et tempestate libera nos Domine". Il sentimento religioso che pervadeva i nostri antenati si è trasfuso nel racconto che vede la nostra Roca vittoriosa su streghe e demoni che sfrecciano nel cielo tra lampi, tuoni, tempeste intenzionati a distruggere bestie, raccolti uomini, paesi.
L'intero Comelico è, da ore, flagellato da tempeste e burrasche di vento. I soliti Malspirti in accordo con le streghe delle valli vicine s'addensano sanguinari sopra i paesi rafforzando con i loro soffi la potenza del vento.
Giunge per essi l'ora dell'attacco finale e "Butta, butta" urlano le streghe della val Piave. "Butta, butta" ripetono quelle della val Padola. I lampi ed i tuoni scuotono la terra mentre, dai Brentoni alle Terze l'eco rimanda: "Butta, butta, butta."
Nel fragore di queste lotte titaniche si fa sentire improvviso il rintocco d'una campana, ripetuto, continuo, forte, sempre più forte.
Gli risponde un urlo feroce che sovrasta il frastuono degli elementi squassati: "No posso! No posso buttar perché la Roca de Danta baia!. La Roca baiaaa!. Baiaaaa"!.
Tra cielo e terra i lampi d'odio di streghe e Malspirti si confondono con l'ultima saetta che si scarica oltre il Piedo mentre una improvvisa, disordinata fuga di nubi nasconde la disfatta di quelli spiriti del male.
Agli ultimi benedicenti rintocchi della Roca, nella quiete irreale che copriva ormai la valle, s'univano quelli delle campane dei paesi vicini: inno di ringraziamento a sollievo dello scampato pericolo.

ACCOMPAGNARE L'ANIMA

L'agonia di una persona vedeva sempre accanto al suo letto parroco e familiari che sostavano silenziosi nella penombra della camera. A tratti la voce del prete, alternata a quella dei presenti, sussurrava una preghiera quasi soffocata dal rantolo del moribondo. Man mano che il suo respiro si attenuva, aumentva l'invocazione "Spiri in pace l'anima sua" .Era il modo di sollevare il congiunto dalle sue sofferenze ed accompagnarlo nel viaggio che la sua anima stava per intrapprendere verso un traguardo luminoso di serenità e di pace.

NON PORTARE LA PRIMIZIA HA SEMPRE CONSEGUENZE


Pomeriggio del 25 novembre, ore 15. La campana grande incomincia a suonare e -confondendone il significato con quello delle quindici del venerdì, suonata settimanalmente per ricordare la morte di Cristo,- qualcuno accenna ad un segno di croce.
Sulla strada nuove voci chiarificatrici che s'alternano a risate: "Ma è santa Caterina. Suanano per chi si è dimenticato di portare "la primizia" al parroco. Così non avrà la sorpresa capitata a chi non aveva voluto portar il gerlo di patate al prete".Di bocca in bocca, da padre a figlio la storia veniva così annualmente rivissuta:
Una signora aveva deciso che quanto il suo campo aveva prodotto doveva essere solo suo, ma per non far vedere che nulla aveva portato in canonica come dovere di primizia ci era andata, sul tardi, con il gerlo vuoto per dare l'inpressione alla gente d'aver adempiuto al precetto della Chiesa.
Poche sere dopo santa Caterina, l'ultimo giorno consentito anche ai ritardatari per conferire le patate al parroco, la donna scese in cantina per prendere quelle da lessare per la cena.
Infilò la mano un una poltiglia maleodorante e s'accorse del castigo che le era stato inflitto; cercò nell'altro posto ov'erano sistemate quelle per la semina e le trovò germogliate ed avvizzite.
Pentita ed umiliata si presentò al parroco che non solo rimase colpito dall'evento, ma dimostrandole la sua comprensione la invitò a ripresentarsi in canonica col gerlo, riempirlo di patate e tornarsene a casa con la sicurezza di poterne disporre o per il quotidiano o conservandole per la semina.

LA MALORA
(Niente di più bello che incontrar la Malora per la strada ! - e lo puoi fare solo se sei piccolo e solo!- perché a lei piacciono i bambini)

E' una stupenda giovinetta con i riccioli d'oro e le labbra dolci come quelle di tua mamma. Ti parla con una voce che pare venga dal cielo e ti stende le braccia come se ti volesse abbracciare. Poi ti fa vedere ninnoli brillanti, dolci che dice preparati con le sue mani da Fata e ti invita a seguirla.
Ci vai e la strada è tutta piena di fiori. Sopra di te pare volino migliaia d'uccelli variopinti il cui canto ti inebria.
Il viaggio pare eterno, infinito e lei t'è accanto e ti sprona ad accelerare il passo perché dopo vedrai il più bello.
Ad un tratto t'abbraccia e ti bacia fin quasi a soffocarti.
Apri gli occhi e ti trovi sull'orlo di un burrone. Ti salverà solo il suono lontano di una campana o la fortunata vicinanza di un boscaiolo che ha udito le tue grida.
Ma se l'hai incontrata scappando di casa e facendo soffrire tua mamma, la Malora, quale segno del vostro incontro, lascierà in te, per tutta la vita, il terrore del buio e della solitudine.

I MALSPIRITI SULLA STRADA DI STAREZA


Non c'era stato un grande taglio straordinario nei boschi che da Palù si estendevano lungo la strada di Stareza; c'era stata invece una strana invernata, con grandi nevicate fin dal tardo autunno e proseguite poi anche agli inizi della primavera. Chi per raccogliere legna, passeggiare o scendere verso la casa padronale isolata, laggiù sotto, nel grande prato in mezzo a quel bosco, si trovava a camminare inciampando tra i resti di rami spezzati, cimali e tronchi ammucchiati, si rendeva conto d'un disastro che avrebbe pesato a lungo sui bilanci della Regola.
Considerata la quantità di legname da ardere che ne sarebbe scaturita dalla assegnazione del Colnel, ne era stata fatta la prima assegnazione per ogni singola famiglia ed all'inizio dell'estate, grandi cataste di rami fiorivan tra piante i cui rami sfrondati mostravano i segni del sofferto passaggio di un vento distruttore.
Ritornò la neve e con essa il freddo e la necessità di tenere il fuoco acceso da mattina a sera. Le scorte di legna accatastata attorno alla casa s'andavano esaurendo. Bisognava ricorrere alla catasta di Stareza. Fortunatamente qualcuno aveva già battuto la strada per le slitte. Gise, agganciata la sua alla giovenca, giunse presto ove'era la sua catasta, vi ripose un abbondante carico e ripartì. La pista, tutta in piano, non richiedeva sforzi da parte dell'animale. Giunti però in una radura, a metà strada circa, non ci fu più verso di farlo andare avanti. Richiami, urla, invettive infastidivano sempre più la bestia dalla cui bocca usciva una bava continua.
"Questa ci hai il diavolo in corpo o vede i Malspirti" pensò e, come i vecchi sempre consigliavano quando ci si fosse trovati in simili occasioni, si fece un gran segno di croce e, convinto che "A peste, fame et bello", una delle invocazioni delle Rogazioni fosse la preghiera più adatta per allontanare i Malspirti, la urlò ai quattro venti. Col cuore in gola posò lo sguardo sulla giovenca: ruminava tranquilla come se avesse appena consumato la sua dose d'erba. La accarezzò, pentito di quanto le avesse prima urlato e questa, scossa la testa, ripartì.
Su di un albero, in quella radura, ancor oggi un crocifisso in legno ricorda l'evento.

CUCU' DALLA CODA RICCIA

A primavera la natura si risveglia ed i prati di Danta diventano un incanto di fiori, di colori, d'onde arcobaleno sull'erba mossa dal vento.
A primavera anche gli uomini sentono risvegliarsi in sé nuove forze, nuovi stimoli, nuovi motivi di gioia.
Ancor più vivaci diventano i bambini che si danno al gioco per le strade, nei boschi, nei prati mentre le bambine, più smaliziate e più intrapprendenti, incominciano a vagheggiare sul loro futuro e, spinte dalle amiche più grandi, iniziano a costruire il loro castello fatato. Non sanno ancora cosa sia l'amore; non ne conoscono i sintomi premonitori, ma intuiscono che deve essere una cosa bella se, come a tutti appare, i fidanzati sono un eterno sorriso, un'eterna primavera.
Così incominciano a sognare il momento in cui avranno trovato il fidanzato e, forti dell'insegnamento delle donzelle amiche, s'attardano nel prato ad attendere che dai boschi vicini, si faccia udire il richiamo del cuculo. Da questo, contando i ripetuti suoi "cucu" si potrà trarre il vaticinio sugli anni che mancheranno all'arrivo di tale momento.
Vacci, allora, bella piccina su quel prato. Stenditi al sole tra le genziane, le orchidee selvatiche, le primule odorose ed appena ne odi la voce chiedigli: "Cucù da la coda riza, cuanc ane ncamò unant ch seia noviza"? (Cucù dalla coda riccia, quanti anni ancor prima ch'io diventi fidanzata?).
Dal profondo del bosco egli ti risponderà ripetendo il suo canto una, due, tante volte. Contale! Il mio augurio è che esse non infondano tristezza nel cuore. Caso mai, ripetigli all'infinito la tua richiesta e considera valida solo quella risposta che ti tinge di rosa tutto quello che ti circonda.

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