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Ritratt - Ritrattila galleria raccoglie i ritratti dei personaggi famosi, di quelli caratteristici ed anche di quelli più pittoreschi della "Danta di ogni giorno". Una serie simpatica di aneddoti dipinti dall'autore con stile brioso e particolareggiato dove nelle descrizioni trovano posto anche le battute che li hanno resi famosi. |
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L
CIARGNEL CUL SMENZE Cuan ch de vìa l neve e drmoleà, zl cede, l patate t'era sguro ch t lo sintìa pl strade cu la so cantilena e l so barbotà: "Sesemi pe l'olorto. L'è rivà l ciaciargnel"! Era chesto n veciuto, cu na bela barba e n pai d'ociai cul lente grose come al cu d na botiglia. Era una dl figure pi' ben viste a Danta e, s'al tardé chechota a rué su, duce s btéa in pnsier pla so salute com s'al fos sto un d fameia. Paséa pr dute l cede parchiè inclota duc avé n orto e duce somnéa l vrdure pr n dovei spende dopo a conprà l piantine da trapiantà.Oltre al smenze, li pore senpro anche" L pianete dla fortuna" interséa femne e tode. Prvedea na vita fortuneda,amor da favole,sode vinte ch rué inze pr porta zienza nanch doié. (Ma gno e a chié doié s n'era autro ch al loto a Longaron ? E chi dé ladù s non chi ch avés sognò chelch so parente ch i avé do i posile numre vincente, ma. soralduto, chesto er lo riusù a betse via chelch franco? ) L pianete rstea comincue una dl prime atrazion ch al vecio portea in paese..Chilò li s frméa doi,trei dis e dadsera-ncamò da cuan ch era vivo mi nono, - gné senpro a mangé a ceda nostra . Ie fadéo fadìa a capilo e li s sforzé da n barbotà pi' ch tanto,ma n al fadé autro ch ingropase ncamò pedo. A na zerta ora i dadòne l ciai dal tabié e li de du parchié ch al didea ch niente è pi' bel dal dormì zal fien ch t sauda e t dà aria profuneda. Inant partì l gné senpro a saludane e, com grazie pal mangé e pal dormì, lasé do smenze in pi'. T lo lasé partì cu n tin d tristeza: "Tornaralo n'autr'an? E nei com saron"? |
IL
CARNICO CON LE SEMENZE Quando la neve se ne andava e nelle patate, in casa, incominciavano le prime protuberanze, eri sicuro che l'avresti sentito per le strade con la solita cantilena ed il suo borbottio: "Sesemi peper l'lolorto. E' arrivato il ciaciargnel.". Era questo un vecchietto, con una bella barba, ed un paio d'occhiali con lenti grosse come fondi di una bottiglia. Era una delle figure più ben viste in Danta e, se qualche volta avesse tardato a salirvi, tutti si mettevano in pensiero per la sua salute come se fosse trattato di uno di famiglia. Egli passava per tutte le case perché a quell'epoca, tutti avevano un orto e tutti sminavano le verdure per non dover spendere dopo per acquistare le piantine da trapiantare. Oltre alle semenze lui portava sempre anche "Le pianete della fortuna" interessavano donne e giovanette. Prevedevano una vita fortunata, amori da favole, vincite di denaro che entrava dalla porta senza neppur giocare (ma dove ed a che cosa giocare se non c'era altro che il lotto a Longarone? E chi ci sarebbe andato fin laggiù se non chi avesse sognato qualche suo parente che gli avesse indicato i possibili numeri i vincenti, ma soprattutto, era riuscito costui a mettersi da parte qualche lira?). Le pianete rimanevano comunque una delle prime attrazioni che il vecchio portava in paese. Qui lui si fermava due, tre giorni ed alla sera - fin da quando era ancor vivo mio nonno - veniva sempre a mangiare a casa nostra, Io facevo fatica a capiro e lui si sforzava di non balbettare più che tanto, ma non faceva altro che inagrbugliarsi ancor peggio. Ad una certa ora gli si dava la chiave del fienile e lui vi scendeva perché diceva che niente è più bello del dormire sul fieno che ti riscalda e ti offre aria profumata prima di ripartire tornava sempre a salutarci e, quale ringraziamento per le cene ed il dormire, lasciava due semenze in più. Lo lasciavi partire con un po' di tristezza: "Ritornerà un altr'anno? E noi come saremo"? |
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PICI
E L SO
. FRDURE |
PICI
E LE SUE
.FREDDURE |
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LUCA, LA MOTO,
L "TAMON" |
LUCA , LA
MOTO , IL "TAMON" |
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E'
RUO' L CAREGHETA Chié festa pr duce nei canaie al sintìlo pasà pl strade e cridé:" L'è riva l caregheta"! Chié festa, pr nei, fracade l'un contra l'autro, ilò z pieza intorne a li e al so caretuto senpro ungonbrò d legnute e d paia ! T lo vdé n'ota a l'an e, pr chelch dì, in medo a carieghe rote u cul bus in medo e era li l'on pi' inportante e l centro dl'atnziòn e d'atraziòn. Rare li ote ch al s'inrabié aped calch femna cuan che, scondo ela, l'avé domandò massa pr inpaié na cariega; pr al pi', dopo mdodì, tante i lo nvité inveze a tolse n tin d café de orzo u a mangiase n bocon d pan e formai. Nei pizi lo vdon senpro conpaign e ne fadè da ride sintì l femne che didé da vetalo pi' vecio, pi' malucò d l'an inante. Aped nei li s la godèa a mostrà com cal intorclea la paia e po' la giréa inze e fora, inze e fora, tra l steche e l bus gno ch s'à da sntase. Cu era bel soroio, li loré fin ch'era lus e avé senpro na scorziata intorne; cu gné nuete, porté l so caret zal tabié ilò sote e, mangiuclò algo u invitò a zena da calcdun - zena poreta com chela di paroign d ceda, cun do patate u n tin d mnestra - gné l'ora d di a dormì ze un di tance tabias. L dì dopo, bonora bonora, li lorè bel e, cu ruon nei duce intorne, vdone cun dispiazer che l carieghe rote era senpro da manco. Volé di' ch gné presto l'ora da saludase e perde cla bela ocasion d cetase z pieza, duc insieme, contente d vede e inparà algo d nuevo e liegre com cuan che s gné fora d scola inante d n dì d vacanza. N savone da gno ch al gnéa, ma l dev'ese sto di nose parchié che - scondo la dente- l parlea cuas come i blunat. Pr nei chesto n volé di' gnente: lo capune cuas in duto e pr chel ch n se capìa li zrché d fèinelo vivo cui deide, cul man, cun duto chel che lo iutes a fei da maestro. N tin a l'ota i so viade, gnud senpro pi' rstueign, n duré pi' dornade intiere, ma da n bonora tarde al di du dal soroio. Intorne al so caretuto, senpro pi' scardel, puece carieghe, ogn'ota da manco. N se doréa pi' cl'inpaiede; li s'era fato senpro pi' vecio; i canaie scomnzèa a avei calch dueguto pr divrtise. L nos caregheta giré pl strade, ma n'avé pi' cla so osona pr di' ch l'era tornò. Baté su na fonestra, su n scuro, entré z calch porton e torné fora d raro cun algo d scardlò u cul bus. N'era pi' laoro e li, pr i pizi, n'era autro che na figura strana e n'i rsté pi' nanch al piazer d vedse intorne n nugal d canaie. Pr chese era du pardu anche al bel piazer d cetase, n'ota tanto, duc insieme chei d Sora la Gedia, d Vilapizla e de du pr Vila, dante a n caregheta che n'incantea cul so duego dl man e cula paia ch ciapé forma e, cuas pr n miracol, rendé nuove l rob evece da bicé domal. |
E'
ARRIVATO IL "CAREGHETA" - "il seggiolaio" Che festa per tutti noi bambini nel sentirlo passare per le strade e gridar: "E' arrivato il caregheta"! Che festa, per noi, pressati l'uno contro l'altro, lì nella piazza attorno a lui ed al suo carrettino sempre strapieno di legnetti e di paglia! Te lo vedevi una volta all'anno e, per qualche giorno, tra le sedie rotte o con il buco in mezzo ed era lui l'uomo più importante ed al centro dell'attenzione e dell'attrazione. Rare le volte in cui egli si arrabbiava con qualche donna quando, secondo lei, le aveva chiesto troppo per impagliare una sedia; il più delle volte, nel pomeriggio, tante lo invitavano anzi a prendersi un po' di caffè d'orzo o a mangiarsi un tozzo di pane e formaggio. Noi piccoli lo vedevamo sempre uguale e ci faceva da ridere sentire le donne che dicevan di trovarlo più vecchio, più malaticcio dello anno precedente. Con noi, lui se la godeva a mostrarci come riusciva ad attorcigliare la paglia e poi ad intrecciarla dentro e fuori, dentro e fuori, tra le stecche ed il buco dove ci si deve sedere. Quando c'era bel sole, egli lavorava finchè c'era luce ed aveva sempre una frotta di piccoli attorno; al giungere della notte, portava il carretto nel fienile più sotto e, mangiucchiato qualcosa o invitato a cena da qualcuno -cena povera come quella dei padroni di casa, con due patate o un po' di minestra - giungeva l'ora di andare a dormire in uno dei tanti fienili, Il giorno successivo, di buon mattino, lui già lavorava e, quando noi tutti giungevamo lì attorno, vedevamo con dispiacere che erano sempre meno le sedie rotte.Voleva dir che stava per arrivar l'ora dei saluti e perder la bella occasione di trovarsi in piazza, tutti assieme, contenti di vedere ed imparare qualcosa di nuovo ed allegri come quando si usciva di scuola nel giorno precedente una vacanza. Non si sapeva da dove venisse, ma si riteneva fosse dei nostri perché - secondo la gente - parlava quasi come i bellunesi. Per noi questo non significava niente: lo si comprendeva quasi in tutto e per quello che non si riusciva a capire, lui cercava di rendercelo vivo con le dita, con le mani, con tutto ciò che poteva aiutarlo a farci da maestro. Un po' alla volta i suoi viaggi, divenuti sempre più rari, non duravano più giornate intere, ma da una tarda mattinata al tramontar del sole. Attorno al suo carrettino, sempre piùtraballante, poche sedie, ogni volta in numero sempre minore. Si usavano sempre meno quelle impagliate; lui s'era fatto sempre più vecchio; i bambini incominciavano a disporre di qualche giochetto per divertirsi. Il nostro caregheta girava per le strade, ma non aveva più quel suo vocione per far sapere che era ritornato. Batteva su una finestra, su un'imposta, entrava in qualche portone e ne usciva di rado con qualcosa di sconnesso o col buco. Non c'era più lavoro e lui, per i piccoli, non era che una figura strana e non gli rimaneva più neppure il piacere di vedersi attorniato da un nuvolo di bambini. Per questi era andato perso anche il bel piacere di ritrovarsi, una volta tanto, tutti insieme quelli di Sopra la Chiesa, di Villapiccola e di giù per Villa (via Roma), davanti ad un caregheta che ci incantava col suo gioco di mani e con la paglia che assumeva forma e, quasi per miracolo, rendeva nuove le cose vecchie da buttar via. |
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DON
ALBERTO Era ruò da nei zal dzenbre dal '29, dopo n periodo pasò a Zoppè, unico Comun dal Cadore pi' auto d Danta. I so prime batìde è stade chei d'Ezio e Fosca, i domlins d Tina e Angiolin Brsan. S'è cetò cu na parochia ch, dopo la morte d Pre Santo, avé avù n pre dopo l'autro che, pur boign e brave, n'avé podù daighi cal indirizo ch lasa l segno solo cul vive a longo z n paese.. L so vive la Mesa, l so prié in dute li ore dla dornada, l so feise cetà pronto pr dute l ciamade pr n malucò u n moribondo l'à fato gnì lolo l bon pre ch la dente se spité. L fato de ese nasù in Oronze e d savei chie ch volè dì, zi case grave, spité n dotor zi paesute d montagna, l'avé portò a interesase d malatie e di muede d curale. Pr Danta, sto so interese, à volù dì avei l dotor z ceda. Cuanta dente ch l'ebia curò e salvò inante che da Ciandìde o, zi ultme tenpem da San Colò rues su l dotor veiro, nsun savrà mai, ma ciamà l pre era senpro la prima sicureza ch se zrchea d'avei fin ch se spitéa ch chel rue. N'autro so gran inpegno è sto l cetà n tin d laoro pr tance disocupede e curase di porete. Fin ai ane zincuanta, la pi' gran parte di nos omi era manuai e minadors cun laore ch gné fate soralduto zl dighe e galarie pr portà l'aga al turbine dl central eletriche. I cantiers s vardea cul dì via dal nève e se saréa lolo ch tornéa a inbiancà l zime; volé dì zinche, sié meis al'an, ma rstea da vuve cl'autra mtà zienza sode. Invrnade brute u laore scarse porté l fameie a vive cul libreto fin ch al negozio fadé credto e dopo solo mnestre e mues conzade cu "l'aria dla porta", com ch s didea. L pre, sti momente li vivé cun dolor, ma avé solo doi muede d'aiuté la so dente: Scrive e prié cli inprese bel cognosude ch l deia al pi' presto posibil laoro ai so parochiani e iuté l fameie vardendo l cioto dl patate ch l'avé ciapò d primizia pr santa Catarina. E cuan ch scarsité bel anch cheste, pi' d n'ota, intanto ch al n'insignèa a ciantà canzon u mese, t lo vdea znà cu na patata e meda.Oltre ai porete, ai vece, ai malade e al parcé cul cuere i canai pla Prima Comunion, Li vivé i tridue -tignud senpro da n carmelitan d Pieve- prima dl Feste grande e spezie pr favorì l confsion in ocasion dal preceto pascal u dal rué dn Vesco. Dla so fiducia zla so dente e pr al volei la pi' bona riusìta d sti tridue sa algo Padre Armando. Ruò n'ota a Danta ali oto d dadsera causa l strade, l s'à sintù l don Alberto di' a Marino: "L vadi su e l soni le canpane. La gente vegnarà". Infati i é ruede, in tance da inpì la gedia e l triduo n s'é frmò! L centro dla so vita era la Mesa, la Madona, la gedia e i orghi. Ogni dì, inante dla mesa, senpro dita in sufragio d n morto, s ciantea l Lodi e Matutin e, ala fin, anch cl longe esequie .Duto durea na bona ora e meda e pr tance st'orazion pdéa n tin, ma i pi'' n se strachea. Li po' mai! Chel ch'inveze i à costò in struscie, paure e nuete bianche nsun savarà mai. Solo l pnsier pal zimento,ch n bastéa mai, t lo consumea com na candela.Era guera e pr aveilo -razionò ch l'era!-domande sota domande tramite Comun. Zal pedo momento, cul getade in corso, forte dla so gran fede, li s'é afidò al cuaranta mese gregoriane! Ato d fede ch Li d rado consiliéa e solo pr i case d straordinaria gravità. Ma che i laore vada inante e la so gedia torne presto a inpise era pr Li de asoluta inportanza e l'è sto scoltò! Nota anplieda la gedia, mancè i altars pla parte nueva e l brazo d medo!. Un di frate di tridue, Padre Basilio, savé d'altars d gedia dsfada e z n magasin a Vnezia. Era d toli e portai a Danta. D'acordo l Comun, Gise da Ciadada, ch cul camio déa speso du là, s'è inpignò d portai su. E' ruede zinche : doi da bete ai late dla parte nueva pi' n gran in medo d fronte al porte pizle e doi ch dopo à sostituù chei d len ch era davdin la balaustra. Pr vint'ane l pre n'à pi' zrcò laore.Dopo i é gnuda l'idea d slongé l coro pr dà posto ai cantors e ai orghi. M n s'à pi'fato gnente: al Comun n'a podù iutalo.Orghi e cantoria però è fnide l'isteso sora l porte pizle da gno che l celebrante n vien pi' disturbò com cuan ch i era ai late dl'altar, Anch l'autorghi, miracol se mancè l'organista,é sto portò du. L novità l'atiré e così l savé conprò anch n proietor pr film mute, ma cu solo vite d sante, à durò pueco. Ero così in confidenza cun Li ch cul vesco Bortignon- l'ei visto consacrò a Vnezia!-l m ciamea: "l so caplan". Sofria tanto pr n'avei visto ncamò un da Danta a gn' pre. e. Cul tenpo e l so prié, è ruede na suora, n frate misionario e divers pres che l Vesco à consacrò zla so gedia e dante n paese intiero. Ruò al momento dla pnsion, s l'à volù ncamò casù. Regola e Comun i à parciò l'apartamento zl'ex asilo. Nominò, nel 69, Monsignor, né li, né la dente s dadé da fei a risptà sto titolo. Era e rstè solo l nos don Alberto, ch avea l so idee, era duro e non solo n al lasé di'a balà, ma chei dl'azion catolica n dové di' nanch a spaso pr Vilapizla: là via i balea! Pefin a meda carèdma n'al volé ch s vada cul sanpogne pl strade e fnì cul burdé la vecia pr ch n someie a na portzion. Era - e nei lo acetone- l so muedo d feine cresce lontan dai pricoi, da robe ch podé lasà segnr zla vita; inpinine invezr l cuere d sane idee tacade ala tradizion. Così lo sintune, così i volon ben inante e ncamò pi' dopo cuan che, n tin pr i ueie, n tin pr l'età, l s'avè malò e solo l priea, duc i dis, pr nei. Al so funeral na fola d dente, pres e suore, ruede da zento parte, che priea a li com a n santo. E' sto soplù zla gediuta di pres, davdin Pre Santo: Chesto avé do a Danta l cianpanin;Li, na gedia nueva, granda e - a tance di nose- prfin la vita! Aped luere doi, ades, é anch Padre Maurizio ch'à criò scole e gedie in Madagascar. Cla so dente volé soplìlo ladù, ma pr n fei n torto a Danta i lo à conpagnò su e n"Magnificat" ciantò da luere, zla so lenga,é sto, al funeral, l pi' bel "Grazie"a sto nos paesan. Ades, tra Li e e don Alberto, on d sguro chi ch ne varda da lasù! Volarà però lasà ste do righe contando n fato ch mostra come, cu n don Alberto tanto serio, s podè anch cetà l momento da vedlo a ride dopo d'ese, s non inrabiò, almanco n bon tin agitò. Ei bel dito che arone tanto in confidenza e n'ota ei profitò pr feighi n scherzo. Era l sconde elezion politiche dopo la guera e fadéo da segretario dal seggio. Fnide l votazion, scomenza l scrutinio e, verso la fin, scrivo su na carta:" Purtroppo,don Alberto, i comunisti sono aumentati del 100% ". Vado tra la dente ch asistéa e digo a n riedo d portà l biglieto al pre. Pueco dopo lo vedo sula porta ch al m fa segno d di' da li. N fazo in tenpo d avicinalo ch al m'asal:"Ma come? Semo diventadi mati? Dime quanti e i me sentirà ben domenica! L'invido a calmase e i spiego ch'era sto n scherzo pr n lasalo in pena fin ch n'era fnu l spolio. Li elezion era dude come ch li sprea anche se i comuniste avè aumntò, sul serio, dal 100%; infate da un voto ch i avé avù zl pasade, ades i avé ciapò doi. S'a tirò du l tricorno e, cula stesa man ch pnseo l voia dame dal tricorno, s l'è inveze pasada sui ueie."Finido tuto, vien in Canonica che bevemo n po' de vin da mesa" li m'a dito."Ma come"? ei rspondù "se non l'assaggia che a messa"? E sto ilò n tin riduzlando e po': "Gnanca ti no te bevi"| Ma dopo la paura che te me gà fato ciapar sagiemone n poco in due". L'oprazion d spolio è dude inante masa in lomgo Solo l dì dopo s son riviste e on ridù duc doi. E era cal raro so soriso bel, ldier, ch me rorcordé chel dl sèrate cuan ch, da pizi, stadone z calonga fin tarde e Li ne didé da liede e parlà pian parchié ch l'avé da fnì l Breviario e po', lvò da bonora presto e inpignò duto l dì, s'inzopldìa via. L tomà dal libro u nei che, n tin a l'ota, parlone senpro pi' forte lo dsdéa e alora, cun cal so pizal bel soriso apena signò sul so volto scarno, Li s scusè d'aveine tignude masa in longo e ne didé da di' a ceda. Cuance d nei avrà dopo godù a rcordà cli ore e contà d ste robete ai so fis u ai so node ! Ma, inante fnì, voi rcordà n'autra espresion dal volto d don Alberto, chela d cla sera ch'al stadé insegnando la mesa conposta dal'Oltrasi e che avone da ciantà pr Nadà. Arone duce pi' contente dal solito e Li cul so soriso bel com la so ana. Da n'autra parte ei bel contò, in longo, chel che d'inproviso l'à fato sbiancà e piande. Doi colpute ala porta, po' etre pi' forte. S frmon e Li verd la porta: era i canpanare. S'era rota la Roca. Nsuign s'avé fato mal. L lagrme scondé i so ueie e, trmando, Li dis:" Dio, te ringrazio ch duti i xé sani"! St'ota l so viso era bianco, dsfato. Mai l'ei pi' visto così, ma voi tignimlo dante come ricordo d Li z anche in un bruto momento dla so vita. |
DON
ALBERTO Era giunto tra noi nel dicembre del 1929, dopo un periodo trascorso a Zoppè, unico paese del Cadore più alto di Danta. I suoi primo battesimi sono stati quelli di Ezio e Fosca, i gemelli di Valentin ed Angelo Bressan. Si è ritrovato con una parrocchia che, dopo la morte di Pre Santo, aveva avuto un sacerdote dopo l'altro, che pur buoni e bravi, non avevano potuto darle quell'indirizzo che lascia il segno solo con il vivere a lungo in un paese. Il suo vivere la Messa, il suo pregare in tutte le ore della giornata, il suo farsi trovar pronto a tutte le chiamate per un malaticcio o un moribondo lo hanno fatto diventare subito il buon sacerdote che la gente si aspettava. Il fatto di essere nato ad Auronzo e che cosa significasse, nei casi gravi, aspettare un dottore nei paesi di montagna, l'avevano portato ad interessarsi di malattie e di modi per curarle. Per Danta, questo suo interessamento ha rappresentato la certezza di avere il medico in casa. Quanta gente lui abbia curato e salvato prima che, da Candìde o, negli ultimi tempi, da san Nicolò giungesse a Danta il dottore vero, nessuno saprà mai, ma andare a chiamare il sacerdote era sempre la prima sicurezza che si cercava di avere fintanto che si attendeva che quello ci arrivasse. Un altro suo grande impegno è stato il trovare un po' di lavoro per i disoccupati ed occuparsi dei poveri. Fino agli anni cinquanta, la maggior parte dei nostri uomini erano manovali e minatori con lavori che venivano eseguiti soprattutto sulle dighe e nelle gallerie per portare l'acqua alle turbine delle centrali elettriche. I cantieri si aprivano con lo sciogliersi della neve e venivano chiusi non appena tornavano ad imbiancarsi delle vette; voleva dire cinque, sei mesi all'anno, ma rimaneva da vivere l'altra metà senza soldi. Invernate brutte o scarsità di lavori portavano le famiglie a vivere col "libretto" fino a quando il negozio faceva credito e dopo solamente minestre e farinata condite con "L'aria della porta" come si era usi a dire. Il Prete questi momenti li viveva con dolore, ma aveva solo due modi per aiutare la sua gente: scrivere e pregare quell'imprese ben conosciute perchè dessero al più presto possibile del lavoro ai suoi parrocchiani ed aiutare le famiglie consegnando loro parte delle patate che gli erano state date quale primizia, per santa Caterina. E quando scarseggiavano ormai anche queste, più d'una volta, mentre ci insegnava canzoni o messe, lo vedevi cenare con una patata e mezza. Oltre ai poveri, ai vecchi, agli ammalati ed al preparare con cuore i bambini per la Prima Comunione, lui viveva i tridui - tenuti sempre da un frate di Pieve - prima delle feste grandi e specialmente per favorire le confessioni in occasione del Precetto pasquale o dell'arrivo di un Vescovo Della sua fiducia nella sua gente e per il volere la più buona riuscita di questi tridui, ne sa qualcosa Padre Armando che, giunto una volta a Danta alle otto di sera causa le strade, ha sentito il don Alberto dire a Marino: "Va' su (al campanile) e suona le campane. La gente verrà." Sono arrivati, infatti, in tanti da riempire la chiesa ed il triduo non è stato sospeso! Il centro della sua vita era la Messa, la Madonna, la chiesa e l'organo. Ogni giorno, prima della messa, celebrata sempre in suffragio di un morto, si cantavano le Lodi ed il Mattutino ed, alla fine, anche le lunghe esequie. Tutto durava una buona ora e mezza e per tanti queste orazioni erano un po' pesanti, ma i più non si stancavano. Lui poi, mai! Quello che invece gli è costato in fatiche, paure e notti bianche nessuno lo saprà mai. Solo il pensiero per il cemento, mai abbastanza!, te lo consumava come candela. Era guerra e per averlo - razionato che era! - domande sopra domande al Comune. Nel peggiore momento, con le gettate in corso, forte della sua gran fede, lui si è affidato alle quaranta messe gregoriane! Un atto di fede che lui di rado consigliava e solo per i casi di straordinaria gravità - Ma che i lavori vadano avanti e la sua chiesa torni presto a riempirsi era per lui un caso di assoluta importanza. Ed è stato ascoltato! Una volta ampliata la chiesa, non c'erano gli altari per la parte nuova ed il braccio centrale. Uno dei frati dei tridui, Padre Basilio, sapeva di altari di una chiesa demolita ed abbandonati in un magazzino di Venezia. Bisognava solo andar a prendeli e portarli a Danta. In accordo con il Comune, Luigi da Casada che con camion scendeva spesso da quelle parti, si impegnò a portarli su. Ne arrivaron cinque: da collocarsi due ai lati della parte nuova più uno grande al centro, di fronte alle porte piccole e due che han poi sostituito quelli di legno posti vicino alla balaustra. Per vent'anni il prete non ha più cercato lavori. Poi ha avuto l'idea di allungare il coro per dar posto all'organo ed ai cantori. Ma non si è più fatto nulla: il Comune non ha potuto aiutarlo. Organo e cantoria sono finiti lo stesso sopra le porte piccole da dove il celebrante non viene più disturbato come quand'erano ai lati dell'altare. E' stato portato lì giù anche l'autoorgano: un vero miracolo nel sostituire organisti che non c'erano. Lo attiravano le novità e così s'era comperato anche un proiettore per film muti, ma proiettando solo vite di santi, l'esperimento non è durato a lungo. Ero in così tanta confidenza con lui che col vescovo mons. Bortignon - alla cui consacrazione ero presente in Venezia - lui mi chiamava "il suo cappellano". Soffriva tanto per non ancora visto uno di Danta diventar prete. Col tempo ed il suo pregare, si son avuti una suora, un frate missionario e diversi sacerdoti che il Vescovo ha consacrato nella loro chiesa e davanti all'intero paese. Giunto nel 1969 momento della pensione, lo si è voluto ancora quassù. Regola e Comune gli hanno preparato l'appartamento nell'ex asilo. Nominato Monsignore, nel 1969, né lui, né la gente si dava da fare per rispettare questo titolo. Era e rimaneva solo il nostro don Alberto, che aveva le sue idee, era duro e non solo non permetteva di andare a ballare, ma quelli dell'azione cattolica non dovevano neppure andare a passeggio verso Villapiccola: Lì si ballava! Non voleva perfin che a metà quaresima si andasse per le strade con i campanacci e terminare con il bruciare della vecchia perché non assomigliasse ad una processione. Era - e noi l'accettavamo, il suo modo di farci crescer lontani dai pericoli, da cose che potevan lasciar segni nella vita: empirci invece il cuore di sane idee attaccate alla tradizione. Così lo sentivamo, così gli volevamo bene prima ed ancor più dopo quando, un po' per gli occhi, un po' per l'età, lui s'era ammalato e solo pregava, tutti i giorni, per noi. Al suo funerale, una folla di gente, sacerdoti e suore, giunti da cento parti, che lo pregavano come ci si rivolge ad un santo. E' stato sepolto nella chiesetta dei sacerdoti, vicino a Pre Santo: Questo aveva dato a Danta il campanile; Lui, una chiesa nuova, grande ed - a tanti dei nostri - perfino la vita! Con loro due adesso c'è anche Padre Maurizio che ha creato scuole e chiese nel Madagascar. Quella sua gente avrebbe voluto seppelirselo laggiù, ma per non fare un torto a Danta, se lo sono accompagnato fin quassù ed un "Magnificat" cantato da loro nella loro propria lingua, è stato, al funerale, il più bel "Grazie" a questo nostro paesano. Adesso, tra Lui e don Alberto, abbiamo sicuramente chi ci guarda da lassù|.Vorrei però lasciare queste due righe raccontando un fatto che dimostra come, sia pure con un don Alberto tanto serio, si potesse anche trovare il momento di vederlo sorridere dopo d'essersi se non arrabbiato, almeno un bel po' agitato. Ho già detto che eravamo tanto in confidenza ed una volta ho approfittato per fargli uno scherzo. Eravamo nel periodo delle seconde elezioni politiche dopo la guerra ed io fungevo da segretario del seggio. Terminate le votazioni, aveva inizio lo scrutinio e giunti quasi alla fine, scrivo su un pezzo di carta: "Purtroppo, don Alberto, i comunisti sono aumentati del 100%", Vado tra la gente che assisteva e dico ad un bambino di portare il biglietto al parroco. Poco dopo lo vedo già sulla porta che mi fa cenno di andare da lui. Non faccio in tempo ad avvicinarlo che lui mi assale: "Ma come? Siamo diventati matti ? Dimmi quanti (sono) e domenica mi sentiranno bene" .! Lo invito a star calmo e gli spiego che si era trattato di uno scherzo per non lasciarlo in pena fino a quando non fosse stato ultimato lo spoglio. Le elezioni erano andate come lui sperava anche se i comunisti avevano veramente aumentato del 100%; infatti da un voto che avevano avuto nelle elezioni precedenti, adesso ne avevan ottenuti due. Si è tolto il tricorno e, quella stessa mano con con cui pensavo volesse darmelo in testa, se l'è invece passata sugli occhi. "Finito tutto, vieni in Canonica che berremo un po' di vino da messa" mi ha detto. "Ma come" gli ho risposto." Se non ne assaggia che durante la messa"? Rimanendo fermo per un po' e, sorridendo replicò: "Neppure tu ne bevi, ma dopo la paura che mi hai fatto prendere, assaggiamone un po' assieme." Le operazioni di spoglio si sono poi protratte ancora in lungo. Solo il giorno successivo ci siamo rivisiti e ne abbiamo riso tutti e due. Ed era quel raro suo sorriso bello, leggero, che mi ricordava quello delle serate in cui, da piccoli, ci si tratteneva in canonica fino a tardi e Lui ci diceva di leggere e parlare piano perché doveva terminare di leggere il Breviario e poi, alzatosi di buon mattino ed impegnato per tutto il giorno, s'appisolava. Il cadere del libro o noi che, un po' alla volta, parlavamo sempre più forte Lo svegliava ed allora, con quel suo piccolo bel sorrisetto appena segnato sulla sua scarna fronte, Lui si scusava di averci trattenuti troppo a lungo e ci diceva che potevamo tornarcene a casa. Quanti di noi avranno dopo goduto a ricordare quelle ore e raccontare di questi fatterelli ai propri figli o ai propri nipoti! Ma prima di finire, voglio ricordare un'altra espressione del viso di Don Alberto, quella di quella sera in cui ci stava insegnando la messa composta dall'Oltrasi e che avremo dovuto cantare per Natale. Eravamo tutti più contenti del solito e Lui con il sorriso bello come la sua anima. Da un'altra parte ho già lungamente descritto quello che all'improvviso lo ha fatto sbiancare e piangere. Due colpi alla porta, poi altri più forti. Ci fermiamo e Lui apre la porta: erano i campanari. Si era rotta la campana della "Rocca". Nessuno si era fatto male. Le lacrime nascondevano i suoi occhi e, tremando, Lui disse: "Dio, ti ringrazio che tutti sono sani"! Stavolta il suo viso era bianco, disfatto. Mai più l'ho visto così, ma voglio tenermelo davanti come ricordo di Lui anche in un brutto momento della sua vita. |
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La vita senplice dal paese gnè, dali ote, movimntada da robute zienza peso inediato, ma ch lasé chelch segno. Bastè na maieda pr la Purité pr bete in alarme pre e coscrite; à bastò una l dì inante ch rue l vesco pla Visita pastoral, pr bet sot sora chei ch avé da parcè i arche, ma soralduto cetà l muedo d feilo rué su cula strada sarada dal neve. L solo muedo sicuro era chel d portalo cula lioda. Ma com fei se a Danta, ch n'avé ciavai, prfin al vrsoi gné tirò dal vace e, in sta ocasion, volé doi dis solo pr verde la strada? Sgonbrade pieza e stradute fin ala gedia, don Alberto s consilia cu n puece de omi e s fa inante l'idea ch seia luere a tiré la lioda, n'ota un, n'ota l'autro. Tra chei ch se ofre è anche Cencio, n bel on, forte, abituò a dute l fadìe. Una so carateristica n va masa ben al pre: n"Porco "ogni do parole dite però cun duta calma, come i canaie ch inpara na filastroca. L pre, i dis lolo d no. Dopo, pr n'ofendlo, i fa capì ch s'al fos sguro ch n al bstemie, li lo mandarà. "Mi, porco in ciesa no l me vedarà più se, porco, no l me lasarà andar!" S conclude cu l'acordo ch dirà anche Cencio, ma che pi' d duto, sarà chi etre a tirè la lioda. L dì dopo, omi e lioda, cun cuerte e cosìn, è a Cianpdel e l Vesco, dopo i prime tentative d dì' ch al zrcarà d fei n tin d strada a pe, s senta e scomenza la avntura. Pi' d n'ota a Cencio è bel scanpo chelch "porco", ma dito così, cuas sot os, par ch n l'ebia avù efete. E' tance i set chilometre da feise, ma cufnis al turno d Cencio, li n mola pi' la lioda e, d fronte al'insistenze d chi etre, i porche aumenta e anch d forza tanto che i decide da n insiste pi'. Ogni tanto- e l'intrcalà s ripete- li domanda al Vesco s l'à freido, s'al vué n tin d café che i avé davoise, s l'era mai sto portò su na lioda, com mai ch l'avè deciso da gni su cuan ch è freido e ch maia, roba che a nei pias solo parchiè cul neve t pues portà a ceda legne, fiene, l taie dal bosco. Ruede in Ceve, cul Vesco ch rivolgè domande a sti omi, Cencio i dis che i era bel a mtà strada e i mostrea, man man che i s presntea,i paese e i bosche pi' u manco lontane, gno che luere de' a lorà. La stracheza forse u l continuo parlà avé ridotto anche i porche, ma forse al Vesco i piasìa sintilo tanto che, fora d Pocìa, pena verta la visual, i à dito d spiegai chié montagne che era dintorne. Pena pasade Davoi l Col, taca a sonà l cianpane, ma li dèa inante cul so discorso, urlando pr supré l son forte dal conzerto. Dente e pre li spité ilò gno ch'era la fontana di Lutins. L Vesco è smontò, iutò da Cencio ch n volé molàlo nanche cuan ch al volé saludé dente e autorité. L pre n savé com giustificase pr avei mandò un così a tol-lo e à scomnzò a di' ch Cencio dis così zienza racativeria, pr abitudine e pr chesto da scusalo. Cun do parole l Vesco i à do pas:" Lungo questa strada, l'ho apprezzato. Gli intercalari suoi eran giaculatorie in momenti di fatica. Un grazie per avermelo fatto conoscere.". Cencio n stadé zl peze e riduzlea :Pur sudò com ch l'era, à volù conpagnalo fin z gedia. Ane dopo, su pr sta riva,t vdé pi' speso li,cu manco giaculatorie fin che li é sparide dal duto. Aped li!.. |
QUADRETTO
QUASI UMORISTICO La vita semplice del paese veniva, alle volte, movimentata da cosettine senza peso immediato, ma che poi lasciava qualche segno. Era sufficiente una nevicata in occasione della Purità per mettere in allarme prete e coscritti; ne è bastata una nel giorno precedente l'arrivo del vescovo per la visita Pastorale per metter sossopra quelli che dovevan preparare gli archi trionfali, ma soprattutto per trovare il modo di farlo arrivare su, con la strada chiusa dalla neve. Il solo modo sicuro era quello di portarlo con una slitta - Ma come attuarlo se a Danta, che non aveva cavalli, perfino il fendineve veniva trainato da mucche e, in questa occasione, ci volevan due giorni solo per aprire la strada? - Sgombrate piazza e stradette fin alla chiesa, don Alberto si consiglia con alcuni uomini e si prospetta l'idea che sian loro stessi a tirare la slitta, una volta l'uno, una volta l'altro. Tra coloro che si offrono di farlo c'è anche Cencio, un bell'uomo, forte, abituato a tutte le fatiche. Una sua caratteristica non va però troppo bene per il prete: un "Porco " ogni due paole, dite comunque con tutta calma come i bambini che imparano una filastrocca. Il prete gli dice subito di no. Poi, per non offenderlo, gli fa capire che se fosse sicuro che non bestemmia, lui lo manderebbe. "Me, porco , in chiesa non vedrà più se non mi consentirà di andarci!" tutto si conclude con la certezza che ci andrà anche Cencio, ma che saran soprattutto gli altri a tirare la slitta. Il dì successivo uomini e slitta, con coperte e cuscino, sono a Campitello ed il Vescovo, dopo i primi tentativi di affermare che avrebbe cercato di fare un po' di strada a piedi, si siede ed inizia l'avventura. Più d'una volta a Cencio è già sfuggito qualche "porco" ma detto quasi sottovoce, pare non aver avuto effetto. Son tanti i sette chilometri da farsi, ma quando termina il turno di Cencio, lui non cede più la slitta e, di fronte alle insistenze degli altri, aumentano i porchi ed anche il tono tanto che decidono di non insistere più. Ogni tanto - e l'ntercalare si ripete - lui chiede al Vescovo se ha freddo, se desidera un po' di caffè che s'eran portati appresso, se fosse mai stato portato su di una slitta, come mai avesse deciso di salire a Danta quand'è freddo e nevica, cosa che piace a loro solo perché con la neve si può portare a casa legna, fieno ed i tronchi d'albero dai boschi. Giunti in località Ceve, con il Vescovo che si rivolgeva a questi uomimi, Cencio lo informa d'essere giunti ormai a metà strada e gli mostrava, man mano che si presentavano, i paesi ed i boschi più o meno lontani. Dov'essi andavano a lavorare. La stanchezza forse o il continuo parlare avevano ridotto anche i porco, ma forse al Vescovo piaceva ascoltarlo tanto che, usciti da Pocìa, appena apertasi la visuale, gli ha chiesto di spiegargli quali montagne si trovavno innanzi a loro. Appena oltrepassato "Dietro il Colle" le campane hanno iniziato a suonare, ma Cencio continuava il suo discorso, urlando per superare il suono forte del Concerto (le tre campane). Prete e gente li attendevano lì presso casa Luttin dove allora c'era la fontana. Il Vescovo è sceso, aiutato da Cencio che non voleva lasciarlo neppure quando voleva salutare la gente e le autorità. Il parroco non sapeva come giustificarsi per aver mandato una tal persona a prenderlo ed ha incominciato a dire che Cencio si esprime in quel modo senza cattiveria, per abitudine e quindi lo pregava di scusarlo. Con due parole il Vescovo lo tranquillizzò: "Lungo questa strada, lo ho apprezzato: i suoi intercalare non eran che giaculatorie in momenti di fatica. Grazie per avermelo fatto conoscere.". Cencio non stava in sé e sorrideva e, pur sudato come era, ha voluto accompagnatlo fino in chiesa. Anni dopo, lungo questa stessa ripida strada, vedevi spesso lui, con meno giaculatorie, fino a quando son sparite del tutto. Con lui! |
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Era fnid la guera e, tornade dal militar, tance ch zrchea laoro l'avé cetò in Pustaria, zi bosche. Gné a ceda dal sabo sera e, scondo cuanto distante ch'era l posto d laoro, torné via dla domenia u l lune cuan ch apena spicéa. Tra i todese d là inze e i Comliane n'è mai stada na gran amicizia, manco ncamò cuan ch i avé scomnzò cui atentate per podei tornà sot l'Austria. S'era mal vste i operai, t pues imaginate i soldade ch scugné presidié ponte e ferovie. E com duta la dente normal, chese e chei, s cetea speso z li ostarie. In calcduna i nose era tratade manco mal; in etre i evité da entrà, ma chelch ota capité anch chesto. In una, in particolar, u volé ore inante che i porte n tin d vin u i scugné bevlo solo in pes parchié ch n todeso pr taulin fadé capì ch era bel duto ocupò, Na sera, dopo avei savù ch al paron avé dito brut parole ai alpins che insistè pr ch al porte algo, Duane, ch solvé n motocaro cu na spala, à deciso ch d ste robe n dovè pi' sucede. N puece d'alpine era inze da n bon tin e, cuan ch è entrade i nose, i stadé ncamò spitanto ch l'oste portes chel ch i avé ordnò. Davdin al banco anche i nose riptea l'ordi, ma l paron solo riduzlea vardando i suei. Dopo n ultmo inutil tentativo, Duane urla: "Porca madèna, adés sì t m srviràs!" e fa l sauto otra l banco. "Ora mi dirai il prezzo di quanto io servirò ed incasserai tu stesso" E scomenza a fei da barista srvendo pr prime i alpine e dopo i nose. Chi etre, n tin a l'ota, s la svignèa. Duane, a la fin,à domandò se i bastè sta lziòn pr l sere dopo, parchiè ch i avrà continuò a gni zla so ostaria. Al todesco n'è rstò autro ch giustificase - in un bon talian!- ch al scugné fei così parchié ch l'era controlò. ma ch li n'avé gnente contra i taliane. Ilò n'è pi' suceso niente, ma algo d simile è capitò otrò, chelch tenpo dopo, cun d medo senpro i alpine, i pi' malviste e toloste in giro dai todese. Cuas duce i nose avé fato la naia cula "pena" e tocé chesta era com tocé la fameia. I alpine, in divisa, n dové reagì a nsuna ofesa, ma ai borghese nsun podé inpdì d feise giustizia. Così, cuan che i nose s'è cetade zal bar gno che al nos esercito era bel sto btù in ridicol e anch in cla sera todese e paron soghigné sui alpine, Duane s'è rivolto a chesto e i à dito s l'à fnu da ride parchie ch s no li i canbié i conotate. E dopo ordinando pi' ch domandando i à dito d ripete l frase usede sere inante contra i alpine. S'era ozade n puece d todese cu l'intnzion d tacala cui nose, ma ala prima spinta s'è cetade lolo dstirede tra carieghe e taulins u sora i alpine che, sentade," à scugnù difendse". Chelch dì dopo, interogatorio dante l comandante ch volè savei la verité sui fate ch era stade denunciede ai carabiniere come ataco di alpine ai pura avntore todese dal bar. Inutile dì' ch l'unico a avei consguenze negative è sto ch al bar ch n'à pi' visto né cliente nose, nè tra alpins. |
AVVENTURE
DEL DOPOGUERRA |
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DONNE CHE HANNO SAPUTO DARSI DA FARE Lasciar un nome su documenti che rimangono, per bene che su di essi tu ne scriva, ti lascia sempre un po’ dubbioso perché non sai chi, quando ed in quali condizioni di spirito uno si trovi quando lo legge. Trattare però di brave e buone donne come Giulia di Co, Marianna e Maria Lunga non mi crea assolutamente dubbi tanto è il bene che hanno fatto alla nostra gente, alle nostre famiglie. Erano gli anni della grande miseria e chi appena ne aveva la possibilità, si manteneva due galline per poter disporre di due uova che poi, solo raramente, te le consumavi in casa. La maggior parte delle volte le portavi in casa della Giulia o di Marianna che, ogni settimana scendevan fino ad Auronzo a venderle assieme al burro ed al formaggio che tutti i proprietari di mucche pregavano di smerciare in quel paese. Tu attendevi che esse tornassero con la viva speranza che fossero riuscite a vendere ed anche a buon prezzo tutto quanto si erano portate appresso. Qualche volta purtroppo, dovevano tornarsene indietro con qualcosa di invenduto e ti guardavano quasi più disperate di chi doveva riprendersi ciò che non eran riuscite a smerciare. Con il bello e con il brutto tempo e con un gerlo sempre carico, loro si avviavano, scendendo la Duda come se fosse stata la stradetta di casa e non le spaventavano né le Rueibe - se escludiamo il terrore che di esse aveva Rosa la figlia di Giulia, che seguiva spesso la mamma -, né il buio che sopraggiungeva, più d’una volta, quando si dovevan attardare per cercare di completare la vendita della loro merce. Appena due uova era il prezzo che le si doveva per il favore fatto, ma il più bel regalo era il sapere che il paese intero diceva loro “Grazie”.
Un’altra donna che, pur standosene sempre a casa, ha dato a tutti una mano per superare i brutti momenti prima e durante la seconda guerra mondiale è stata Maria, La Lunga. I nostri boschi producevano sempre funghi di ogni tipo, ma questi venivano da noi usati solo per mangiarli in casa. Si poteva così far a meno di comperare il companatico, ma ciò non si traduceva in denaro. Questa Maria Longa è riuscita invece a trovare il modo di far entrare qualche lira nelle famiglie incominciando a farsi consegnare in casa i funghi. La gente li portava, lei li pesava ed alla sera, dopo che era passato un trevigiano che munito di camion comperava da lei tutti i porcini che essa era riuscita a farsi consegnare, riceveva il suo denaro. Più il tempo trascorreva, più gran numero di gente incominciò ad andare per funghi, portarli poi dalla Longia e ritrovarsi alla sera con qualcosa in tasca. Perfino i bambini scendendo giorno dopo giorno lungo la strada di Campitello e sbirciando tra le piantine di abete rosso in Coiardan ed in Ceve riuscivano a trovare dei porcinelli e dei gialletti. In questi, ben cotti, dopo avresti intinto la polenta; gli altri li portavi dalla Longia che se li prendeva ancor più volentieri di quelli più grandi perché, da freschi, avrebbero durato più a lungo sul mercato. Ai tempi odierni solo i più anziani comprendono ciò che ha significato l’aver iniziato a sfruttare la ricchezza di funghi offertaci dai nostri boschi. Ai giovani invece che forse hanno appena appena conosciuto Colo, colui che è subentrato alla Maria Longia in questo mercato, ho voluto lasciare il ricordo di donne che son riuscite a portare a Danta più soldi – e soprattutto per più lungo tempo – di tanti uomini che si sentivano importanti. Sarei stato ancora più contento però di poter anche scrivere che la figlia di questo signor Colo era stata un’altra donna riuscita a creare lavoro e portare denaro per la nostra gente con l’industria dei funghi. Ciò che in Val Pusteria si può fare, a Danta è stato invece negato e così abbiamo perso posti di lavoro, denaro ed anche un valido sistema per farsi propaganda turistica.
NATI DUE VOLTE Quello che oggi non capita più, ieri era una cosa quasi usuale. Quanti nati in quegli anni si son trovati con documenti che li vedevano nati in giornate diverse. Ma per nessuno, una volta divenuto grande, questo rimaneva un mistero così sarà anche per te, che ora mi stai leggendo, perché vedrai con quale facilità tutto questo poteva succedere. In quegli anni tutte le donne partorivano in casa con l’aiuto di madri, sorelle, cognate che entravano ed uscivano dalla cucina e magari anche con bambini impegnati a tenere ben acceso il fuoco per preparare acqua calda. Nella camera se ne stava l’ostetrica che era tanto brava nella sua professione da essere richiesta anche dai paesi vicini. Tutti la conoscevano, ma tutti sapevano anche che essa aveva un debole per il bicchiere e se, durante le giornate la vedevano volentieri nelle loro case e le offrivano volentieri un goccio, in questi momenti tutti erano un po’ più stretti di portafoglio e le offrivano volentieri caffè sopra caffè. Raramente lei se la vedeva brutta e consigliava di chiamare il dottor Tapparini, ma tra il tempo per andarlo a chiamare e quello impiegato perché vi salisse da Candìde, a piedi, il pericolo era stato scongiurato ed il piccolo era nato. Un saluto in allegria, due convenevoli tra tutti, un grazie dai familiari e prima che l'ostetrica se ne vada la solita raccomandazione di fare il favore di passare in Municipio a denunciare questa nascita. Il paese intero, dopo un’ora, ne era stato informato e commentava quella novità, ma lo Stato Civile veniva spesso a conoscerla solo doipo qualche giorno perché la festa per aver fatto nascere un piccolino l’aveva portata ad assaggiare quel tanto in più che le aveva fatto scordare che la denuncia doveva essere presentata entro un determinato tempo. E se erano già trascorsi un giorno, due o tre altrettanti giorni dopo avrebbe dovuto figurare come nata la creatura. Chi invece ne era stato subito informato era il parroco ed in occasione del battesimo che di solito avveniva dopo una settimana, dieci giorni, veniva registrata la data di nascita effettiva. Dalle nostre parti, si festeggiava sempre l’onomastico e su quello non si creavano problemi, ma quando si è passati a festeggiare anche il compleanno, pensa tu che lungo dover spiegare – magari ad un forestiero – questa storia! Pensa poi a quei due o tre casi di giovani nati durante il periodo delle feste di Natale e registrati forse nell’anno successivo che si saranno visti chiamare alla visita di Leva con la coscrizione dell’anno successivo! Storie queste di tempi lontane, ma che vedevano la gente unita e partecipe nel bene e nel male dell’intero paese. Oggi nasci in un ospedale bello, sicuro, con camici bianchi attorno a te. Non hai al piano di sotto dei bambini che fan fuoco e donne che ti preparano l’acqua calda. Mancherà forse l’affetto che sentivi attorno a te, ma quanto vale quella macchina che ti ha controllata per nove mesi e che ora dà segnali se c’è bisogno dell’intervento immediato del dottore che se ne sta lì fuori e non hai bisogno di farlo andare a chiamare e neppure deve arrivare salendi da Candìde, né da San Nicolò! VECCHI O SOGGETTI CARATTERISTICI: SCORCI LILLO NUTILAI
CAIO TABACCHI SANTINA DELLA TELA |
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FEMNE CHE A’ SAVU’ DASE DA FEI Fei n nome su carte ch resta, pr ben ch d li tscriva, t lasa senpro n tin dubioso parchié ch n t sas chi, cuan e in chié consi<ion d spirito un s cete cuan ch al lo liede. Ma tratà d brave e bone femne come Giulia d Co, Mariana e Maria Longia n m creia dubie tanto dal ben li à fato ala nostra dente, al nostr fameie. Era i ane dla miseria e chi ch pena podea s tignia do pite pr avei n uevo che, d rado, t lo dorea z ceda. L pì’ dli ote t lo portea su da Giulia u da Mariana che, ogni stomana dea a vendli in Oronze insieme a onto e formai che duce chei ch ave vace la priea da smarzié là fora. T spité che l torne sprando vivamente ch li ebia podù vende duto e a n bon prezio. Clelch ota, purtropo, ele torné in davoi cun roba e l t vardea cuas pì’’ dsprade d chi ch dové ritolse la roba invmduda. Cul bel e cul bruto e cu n dèi senpro ciariò, ele ciapé la Duda come sa fos stada la strada d ceda e n le spavntea né l Rueibe - se n parlon dal teror c aveva d'le Rosa, la fia d Giulia, c dea fora speso aped ela-, né l scuro che l ciapéa, pì’ d n’ota, cuan ch l s ritardé pr fnì da vende la roba. Doi ueve era l so avei pr al piazer, ma l pì’ bel rgalo era pr ele, savei che l paese intiero i didé: Grazie”.
N’autra che , pur stando senpre a ceda, à do a duce na man a supré i brute momente prima e durante la sconda guera mondial è stada Maria Longia. I nos bosche dadè fonghe d’ogni tipo, ma s li dorea solo per mangiai z ceda. S podé così fei d manco d conprà l’apede, ma chesto n fadé entrà sode. ‘Sta Maria Longia è riusida inveze a cetà l muedo d fei entrà chelch franco zl fameie tolendo su fonghe. La dente i portea, ela li pdea e dadsera, dopo ch’era pasò n trevisan cun camion ch conprea da ela duce i pulcini ch l’era riuscida a ciapase.,avé i so sode. Pì’ pasé l tenpo, pì’ dente à scomnzò a dì a fonghe, portai da ela e vedse, dadsera, cun algo z fonda. Prfin i canaiute. Dendo, dì pr dì, du pla strada d Cianpdel e cul vardà tra i pozlonì d Coiardan e d Ceve, cetea pulcinute u dalete; z chese, ben cuete, dopo te tocea la polenta, chietre gnè portade dala Longia che i tolea ncamò pì’ lontiera di grandoign parchiè che da frese i duré da pì’ sul marcà. Incuei solo i pì’ vece sa chié ch à volù dì avei scomnzò a sfruté la richeza d fonghe oferta dai nos bosche . Ai doign inveze ch à cognosù forse apena Colo ch é subntrò ala Longia z sto marcà, ei volù lasà l rcordo d do femne ch à portò in Danta pì’ sode–e soralduto pì’ in longo - d tance omi che se sintia inportante. Sarà sto però ncamò pì’ contento d podei anche scrive ch la fia d sto sior Colo era n’autra femna riusida a crié laoro e portà sode pla nostra dente cu l’industria di fonghe. Chel ch in Pustaria s pué fei, a Danta inveze è sto ngò e così on pardù poste d laoro, sode e n bon muedo pr feise la propaganda turistica.
Chel ch incuei n càpita pì’, ignere era cuas usual. Cuance d chi ane s’è cetade cun carte ch li vdéa nasùde in dis diverse! Ma pr nsuign, n’ota gnud greign, chesto resté n mistero e così sarà anch pr te, che t me liede ades,parchié t vdaras cun chié fazilitè ch duto podé sucede. In chi ane dute l femne poié du z ceda cu l’aiuto d mare, sues, cugnede ch dea inze e fora d cusina e magare cun canaie indafarade a tignì su l fuego pr parcé aga ciauda. Z canbra, stadé la levatrice che era tanto brava pal so mstier ch la gné ciamada anche da fora d paese. Duice la cognosea, ma duce anche savea ch l’avé n debal pal goto e se, via pr i dis, i la vdea lontiera zl so cede e i ofrìa na goza, in sti momente duce era n tin pì’ strente e i portèa lontiera café sora café. In rare case ela s la vdé bruta e consiliea d ciamà l dotor Taparini, ma tra l dì a ciamalo e l tempo pr ch al rue su, a pe, da Ciandide l pricol era scongiurò e l riedo era nasù. N saludo liegro, doi convenevoi tra duce, n grazie dai familiare e prima ch la levatrice vada via, la solita racomandazion ch la faza l piazer d pasà in Comun a denunciè sta nascita. Duto l paese, dopo n’ora, avè savù e comnté la nueva, ma lo Stato Civil, gné speso a saveilo dopo chelch dì parchié ch la festa pr avei fato nasce n rieduto ave portò ela a zarcé cal tanto da feighi dsmntié che la denuncia dové es fata dinze d n zerto tenpo. Che etre tenpe!
VECE U DENTE PARTICOLARS: SCORCE
DOI C N PARIA PROPIO FRADìS: SUALDIN DLA BERTA
TABACHI |
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VALENTINO BISIN Scrivendomi di lui, la nipote Rita così lo descrive: Come ricordo barba Tino Io e Maria Rosa ci siamo sentite molto amate e circondate da tante attenzioni. La domenica, per la festa, la mamma ci vestiva con particolare cura e poi, l’ultima parola, spettava sempre a barba Tino, che aveva il compito dare l’OK. Questo momento era un vero rito del quale noi, pur piccole, percepivamo l’importanza. Mani leggere e delicate, attente a non spettinarci, sfioravano i nostri capelli, tastando gli abiti e, meglio degli occhi, prendevano atto della nostra eleganza che avrebbe onorato il giorno del Signore. Oltre al tatto, lo zio aveva anche affinato l’animo, ricco di sentimenti e nobili valori per quegli anni. Ricordo che spesso i paesani dicevano al papà che, fare tanti sacrifici per far studiare due figlie femmine non era concepibile. La cultura spettava al maschio che doveva metter su famiglia! Noi invece abbiamo avuto la fortuna di crescere in una famiglia dove non esistevano questi pregiudizi anzi lo zio incoraggiava e sosteneva il progetto del fratello. Così la famiglia di Lindo si trasferì a Belluno perché non solo Rita, man ache la piccola Maria Rosa avrebbe dovuto proseguire gli studi. Barba Tino purtroppo si ammalò gravemente e ricoverato in ospadale. Ogni giorno andavo a trovarlo e gli portavo le notizie della scuola che lo rincuoravano. Frequentando la seconda superiore, primi anni 60, avevo conosciuto la filosofia, una materia nuova che mi affascinava. In una visita allo zio, lo resi partecipe del bel 7 che avevo riportato proprio in questa disciplina e dai suoi occhi, che non c’erano, scesero calde lacrime di gioia. – Questa pagella guarirà barba Tino – mi disse, ma dopo due giorni lo zio morì. Sicuramente lui non sapeva cosa fosse la filosofia, ma intuiva l’importanza di questa materia e di tutto quello che faceva cultura. Tino avrebbe avuto l’onore di essere lo zio di una maestra (questo era il grande destino di Rita) e, a quei tempi, l’insegnate occupava “un ruolo onorario” nel Paese. Si dice giustamente che “gli occhi sono lo specchio dell’anima”, ma lo zio, dopo la disgrazia, aveva imparato a comunicare la sua grandezza con la voce, calda e persuadente, con il gesto di una mano ferma e sicura, e infine con la postura retta di un uomo che conosceva solo l’onestà. |
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TASIO |
ANASTASIO |
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*LISA: canale naturale o creato con tronchi per farvi scivolare verso il luogo dell’ammassamento quelli tagliati lungo il pendio. |
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